Indycar | Indy 500 2019: McLaren, cronologia di un disastro annunciato

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Tempo di lettura: 5 minuti
di Andrea Gardenal
20 Maggio 2019 - 23:14
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A meno di 24 ore dal “bumping” subito ad opera di Kyle Kaiser e dello Juncos Racing, Zak Brown si è sfogato ai microfoni dell’Associated Press elencando tutti gli errori commessi dal suo team nel percorso di preparazione alla 500 Miglia di Indianapolis. L’articolo originale si può leggere a questo link

La storia raccontata da Brown inizia un mese e mezzo fa, in occasione del test privato compiuto da Alonso al Texas Motor Speedway per prendere confidenza con il nuovo aerokit UAK18 della Dallara, con cui lui non aveva mai girato. La giornata di prove è iniziata con svariate ore di ritardo perché, stando a quanto raccontato da Brown, il suo team non aveva a disposizione un volante. “Non siamo usciti prima di mezzogiorno, il nostro volante non era ancora pronto. È stata una questione di mancanza di preparazione e di organizzazione. A partire da qui tutto è precipitato a livello di gestione di progetto. Zak Brown non dovrebbe andare in cerca dei volanti“.

La narrazione di Brown è appena agli inizi: il test svolto da Alonso in Texas è stato effettuato con una delle macchine del team Carlin, con cui la McLaren aveva stretto una partnership tecnica. La macchina era colorata di arancione, ma la tonalità non era quella del classico “papaya” McLaren, pertanto al termine del test è stata inviata in un’officina di Indianapolis per la riverniciatura. Le operazioni sono però andate per le lunghe, tanto che dopo l’incidente di Alonso mercoledì scorso la vettura di riserva era ancora in officina; questo ha ritardato all’inverosimile il rientro in pista di Alonso, che infatti ha perso tutte e 7 le ore di prove di giovedì.

A complicare la situazione ci ha pensato lo stesso team Carlin, che dopo St.Petersburg ha annunciato che avrebbe schierato una terza macchina, destinata a Patricio O’Ward, da aggiungere alle due originariamente previste per Charlie Kimball e Max Chilton; così facendo, le risorse che la Carlin ha potuto dedicare alla McLaren sono state ridotte all’osso e gli effetti di questa dispersione degli sforzi si sono visti: tutte e tre le macchine non qualificate alla Indy 500 sono in qualche modo legate al team con base a Farnham, nel Surrey.

Brown ha anche fatto mea culpa per non aver saputo bilanciare correttamente l’impegno da lui personalmente dedicato ai programmi in Formula 1 e in Indycar: “Sono arrabbiato con me stesso perché già al termine del primo test avevo capito di essere in una situazione spiacevole: avrei dovuto ascoltare di più il mio istinto e lasciarmi coinvolgere di più [nell’operazione Indy 500]“.

Non sono mancate le grane tecniche: nel test di Indianapolis di fine aprile Alonso ha perso tempo a causa di un problema elettrico, fatto che ha portato all’allontanamento di un membro del team; martedì, primo giorno “ufficiale” di prove libere, i guai elettrici si sono ripresentati e ancora una volta la McLaren ha gettato via tempo prezioso perché impegnata nella sostituzione dell’alternatore e dei cablaggi. Mercoledì è poi arrivato l’incidente di Alonso, che ha ritardato ulteriormente lo svolgimento del programma.

E arriviamo così agli ultimi due giorni, quelli in cui il dramma McLaren ha assunto i toni di una farsa. Il primo tentativo di qualifica di Alonso è stato rallentato da una foratura lenta, fatto di cui il team non aveva potuto accorgersi perché i sensori comprati dal team non erano della tipologia corretta.

Dopo aver mancato la qualifica al sabato, la McLaren ha stravolto il setup della sua monoposto nella notte (non senza aver chiesto aiuto alle altre squadre), ma nel far questo il team si è dimenticato di convertire i valori di alcuni parametri dal Sistema Imperiale, utilizzato dalla maggior parte dei team della Indycar, al Sistema Metrico Decimale. Il risultato lo si è visto nelle libere di domenica mattina, quando la macchina di Alonso toccava continuamente il fondo della pista sprigionando scintille in continuazione. Effettuate le opportune correzioni, Alonso ha potuto percorrere solamente 5 giri prima che l’arrivo della pioggia cancellasse tutte le prove libere in programma nella giornata di ieri.

“Siamo entrati in pista dopo aver provato un esperimento durante la notte”, ha detto il pilota spagnolo, “Abbiamo cambiato tutto sulla macchina perché pensavamo di aver bisogno di qualcosa di diverso anche da un punto di vista mentale per ritrovare un po’ di fiducia. Siamo usciti senza sapere nulla di come si sarebbe comportata la macchina in curva 1“.

Il capitolo conclusivo di questa storia è stato scritto in occasione dello shoot-out di domenica. Ancora una volta lasciamo che sia Brown a spiegare cos’è andato storto: “Avevamo una macchina in grado di girare a 229 mph, ma i rapporti del cambio che abbiamo scelto ci hanno permesso di arrivare solamente a 227,5. Ci siamo dati ancora una volta la zappa sui piedi mentre ce l’avevamo quasi fatta. Abbiamo dato tutto fino all’ultimo e si poteva percepire l’ansia che c’era: c’era un qualcosa di eroico in questo. Non voglio che il mondo pensi che la McLaren sia composta da un gruppo di idioti, perché se è vero che ce ne sono stati alcuni, qui ci sono anche delle vere star“.

Brown ha poi chiuso rilanciando la sfida in vista del prossimo anno. “Mi sento in obbligo nei confronti dei nostri tifosi e dei nostri sponsor: non abbiamo mantenuto la nostra promessa e credo che loro meritino di più che delle semplici scuse. Verranno presi dei provvedimenti per coloro che non meritano di lavorare in un grande team come la McLaren. Guarderemo a tutto quello che abbiamo imparato quest’anno e la lista è molto lunga. Spero che le persone apprezzino il nostro impegno: amiamo la competizione, Fernando è una stella e noi non demordiamo. Ritorneremo“.

A completare la giornata del team di Woking, nel pomeriggio di oggi è stata diffusa la notizia dell’abbandono di Bob Fernley, che alla fine dello scorso anno era stato ingaggiato come responsabile del programma Indycar della McLaren.

Immagine di copertina da https://twitter.com/McLarenIndy

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