Indycar | Flashback: Riverside 300 1968 [Parte 1]

IndyCar
Tempo di lettura: 9 minuti
di Andrea Gardenal
8 Settembre 2018 - 09:00
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Il sipario sul campionato Indycar 2018 sta oramai per calare: tra una settimana sul circuito di Sonoma verrà incoronato il vincitore dell’edizione numero 23 della Verizon Indycar Series. A meno di colpi di scena clamorosi, il campione sarà uno tra il veterano Scott Dixon, che va alla caccia del suo quinto titolo, e il giovane Alexander Rossi, che alla sua terza stagione completa nella categoria proverà a far suo il bottino grosso per la prima volta in carriera. Solamente eventi eccezionali potrebbero invece rimettere in corsa Will Power e Josef Newgarden, staccati entrambi di 87 punti dalla leadership; entrambi sono costretti a vincere e a sperare che Dixon si classifichi nelle retrovie, ben oltre la 20ª posizione.

Per entrare in clima gara vi proponiamo un viaggio indietro nel tempo di quasi 50 anni fino al weekend del 1° dicembre 1968, data nella quale si è disputato l’ultimo appuntamento stagionale del campionato USAC, antenato dell’attuale Indycar. La stagione 1968 è stata a dir poco estenuante, con ben 28 gare disputate in 23 weekend distribuiti su quasi 9 mesi, da metà marzo ad inizio dicembre.

A Riverside, in California, si decidevano le sorti del campionato con due soli piloti ancora in lizza per la conquista del titolo: Mario Andretti e Bobby Unser. Il primo, forte di un consistente vantaggio in classifica, era nettamente favorito, mentre il secondo era costretto ad inseguire e a sperare in una serie di eventi favorevoli per scippare il titolo al rivale con un ultimo colpo di reni.

Quanto visto a Riverside quel giorno va oltre ogni logica: complici un regolamento particolare che permetteva ai piloti di utilizzare durante la gara macchine diverse da quelle con cui erano partiti ed un complicato sistema di punteggio, il titolo è rimasto in bilico tra i due contendenti fino all’ultimo giro, al termine di una gara piena di colpi di scena e di capovolgimenti di fronte.


Al termine di una stagione durata quasi 9 mesi con 28 gare spalmate su 23 weekend, il campionato USAC 1968 giunge al proprio epilogo con la 300 miglia di Riverside, denominata ufficialmente “Rex Mays 300”. Per la seconda volta consecutiva il carrozzone delle monoposto americane a ruote scoperte fa tappa sull’impianto stradale californiano che nel 1960 aveva ospitato il Gran Premio degli Stati Uniti di Formula 1.

Il circuito utilizzato dalle Indy Cars è leggermente diverso rispetto a quello adottato dalla Formula 1 otto anni prima: una volta superato il breve rettilineo dei box, le macchine percorrono una veloce curva a sinistra seguita poco dopo da una a destra; a questo punto inizia una serie di “Esse” in successione da percorrere in discesa, dove è fondamentale trovare fin da subito un buon ritmo perché un errore nella sua parte iniziale può compromettere l’intera sequenza di curve.

A questo punto inizia il tratto più lento della pista: terminate le “Esse” si entra in un tornante verso destra dal raggio piuttosto ampio che immette in un breve rettilineo, al termine del quale si trova un secondo tornante, stavolta verso sinistra, che è anche la curva più lenta della pista. A questo punto le Indy Cars non proseguono diritte seguendo il layout della Formula 1, ma svoltano verso destra in un ulteriore tornante che immette sul rettilineo di ritorno, il più lungo di tutta la pista; al termine di esso si un’ultima curva verso destra a 180° (più ampia delle precedenti) che riporta sul rettilineo di partenza.

Il circuito così ottenuto è poco più lungo di 2 miglia e mezzo: la gara si articola su 116 giri per una distanza complessiva di 301,6 miglia (485,4 km).

I contendenti per il titolo sono solamente due: Mario Andretti si presenta al comando della classifica generale con 4154 punti seguito da Bobby Unser con 3850; tutti gli altri sono staccatissimi e matematicamente fuori dai giochi. Tra i due, Unser è il pilota che ha vinto più gare, ben 5 tra cui la 500 Miglia di Indianapolis; Andretti, per contro, ha vinto 4 gare, ma si trova in testa al campionato grazie ai tantissimi secondi posti conquistati, ben 11 contro i soli 5 di Unser

Per comprendere la situazione è fondamentale fare una breve digressione sul sistema di attribuzione dei punti adottato dallo USAC, composto da un punteggio “base” e da un fattore moltiplicativo. Il punteggio base attribuiva 200 punti al vincitore, 160 al secondo classificato, 140 al terzo e poi, a seguire, 120, 100, 80, 60, 50, 40, 30 e 20, fino ad arrivare ai 10 punti che spettavano al dodicesimo. In funzione della lunghezza della singola gara, i punteggi base erano moltiplicati per un opportuno coefficiente, volto a dare un maggior peso alle prove più lunghe come la 500 Miglia di Indianapolis.

La Rex Mays 300 era, in effetti, la seconda gara più lunga della stagione e il coefficiente moltiplicativo era pari a 3: tradotto in numeri, questo significa che al vincitore della gara di Riverside sarebbero stati attribuiti ben 600 punti, al secondo 480, al terzo 420 e giù a scendere fino ai 30 riservati al dodicesimo. A conti fatti, ad Andretti sarebbe bastato piazzarsi in quinta posizione per aggiudicarsi il titolo indipendentemente dal risultato finale di Unser.

C’è un ultimo aspetto da tenere in considerazione: il regolamento dell’epoca prevedeva che, qualora una macchina fosse stata guidata da due o più piloti, i punti da essa conquistati sarebbero stati ripartiti tra tutti loro in proporzione ai giri percorsi.

Questo cavillo regolamentare ha fatto scattare un vero e proprio meccanismo delle alleanze: Mario Andretti, che nel ’68 ha ricoperto per la prima e unica volta in carriera il doppio ruolo di pilota e team manager, ha schierato una seconda vettura per Jerry Titus da utilizzare nel caso la sua monoposto titolare fosse stata costretta a fermarsi. Tuttavia, siccome la prudenza non è mai troppa, l’italo-americano aveva raggiunto un accordo con Parnelli Jones per utilizzare in caso di necessità una delle vetture del suo team, affidate a Joe Leonard ed Art Pollard. Un meccanismo analogo era stato naturalmente predisposto anche da Bobby Unser.

Alla base di questi accordi c’erano i due produttori di pneumatici, ovvero Firestone e Goodyear, i quali erano i principali finanziatori delle squadre partecipanti al campionato e che quindi ci tenevano in modo particolare a primeggiare al termine della stagione. Per questo motivo Andretti avrebbe potuto contare sul supporto dei piloti equipaggiati con gomme Goodyear, mentre Unser sarebbe stato aiutato (se necessario) dai piloti della Firestone.

Finito questo preambolo di carattere squisitamente regolamentare, è il momento di “scendere in pista”. Il programma di gara si sviluppava su tre giorni: venerdì 29 e sabato 30 novembre erano dedicati alle prove, con le libere al mattino e le qualifiche al pomeriggio; la gara si sarebbe invece svolta domenica 1° dicembre con bandiera verde alle ore 13 locali.

La gara su circuito stradale ha attirato un gran numero di wild card, tra le quali si annoverano sia gentlemen drivers che nomi pesanti del panorama motoristico americano e mondiale. Tra questi ultimi, i più attesi erano sicuramente quelli di Dan Gurney, Jack Brabham e Mark Donohue: il primo era il campione uscente della Rex Mays 300 e aveva già vinto due delle quattro gare disputate nel campionato USAC 1968; il secondo aveva conquistato per tre volte il titolo di campione del mondo di Formula 1; il terzo aveva vinto da poco il campionato americano “Road Racing”, competizione riservata a prototipi in stile Can-Am che si correva solamente su circuiti stradali.

Complessivamente il gruppo degli iscritti era composto da ben 40 piloti che nelle due giornate di prove si sarebbero contesi i 30 posti disponibili.

Già al venerdì è chiaro che la lotta per la pole position sarà ristretta ad Andretti e Gurney: nelle libere del mattino Andretti registra immediatamente il tempo di 1:19.20, tre decimi sotto al record registrato da Gurney l’anno precedente. Al pomeriggio l’italo-americano si migliora di un altro decimo, conquistando il miglior tempo di giornata. Al termine del primo giorno di prove ufficiali la classifica è la seguente: Andretti in testa con 1:19.10, Gurney secondo in 1:19.13, Foyt terzo in 1:20.15, Bobby Unser quarto in 1:21.28 davanti al fratello Al, quinto in 1:21.64; seguono poi Art Pollard (1:21.70), Jerry Titus (1:21.73), Joe Leonard (1:21.88), Lloyd Ruby (1:22.66) e Peter Revson (1:22.77).

Nel corso delle prove Al Unser è volato fuori pista alla seconda curva dopo essere scivolato sull’olio sparso in pista dalla Eagle-Ford di Ronnie Bucknum che aveva rotto il motore; Unser è uscito illeso dall’incidente mentre la sua monoposto ha riportato solamente alcuni danni di lieve entità dopo aver colpito le balle di paglia.

Durante le libere del sabato mattina Gurney scende abbondantemente sotto al tempo del giorno precedente di Andretti, completando le 2,6 miglia dello stradale di Riverside in 1:18.20 e mostrando di avere una marcia in più rispetto al rivale. Al pomeriggio non riesce a ripetere il tempo ottenuto in precedenza, ma il riferimento cronometrico di 1:18.95 alla media di 118,556 mph è sufficiente per strappare la pole ad Andretti; quest’ultimo, dal canto suo, al sabato non ha migliorato il tempo di 1:19.10 stabilito al venerdì

Il distacco in qualifica tra i primi due potrebbe far pensare ad un sostanziale equilibrio, ma il livello di competitività della Eagle di Gurney è in realtà ben superiore a quanto mostrato. Prima del giro buono che gli aveva consegnato la pole position, Dan aveva irrigidito le molle degli ammortizzatori sulla sua macchina in modo che le sospensioni non arrivassero a fondo corsa nelle frenate più violente. Questo provvedimento, unito alla decisione di qualificarsi con molto carburante a bordo della monoposto, aveva mascherato la reale forza di Gurney e della sua macchina.

La giornata di Andretti, per contro, era stata molto complicata: mentre era in pista per provare un nuovo tipo di freni da utilizzare in gara, il motore della sua macchina è esploso lasciandolo a piedi. Per alcune ore perfino la sua partecipazione alla gara era stata messa in dubbio, ma fortunatamente la sua squadra è riuscita a sostituire il propulsore durante la notte permettendogli di prendere regolarmente il via. Durante le prove di sabato è esploso anche il motore della Eagle-Ford di Roger McCluskey, mentre Art Pollard è finito contro le balle di paglia con la sua Lotus equipaggiata da un motore a turbina.

La classifica alle spalle dei primi due vede Joe Leonard (1:19.78) e Al Unser (1:19.90) in seconda fila, mentre dalla terza partiranno due wild card di lusso, ovvero Mark Donohue (1:20.01) e Jack Brabham (1:20.18). Settimo tempo a sorpresa per Jerry Titus (1:20.58), il compagno di squadra di Andretti, al cui fianco partirà AJ Foyt (1:20.63). La top-10 viene completata da Bobby Unser (1:20.87), l’unico rivale di Andretti nella corsa al titolo, ed Art Pollard (1:21.70).

Questa è la griglia di partenza completa della 300 Miglia di Riverside 1968:

(continua…)

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