Il Politically Correct ha rotto le palle

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
12 Novembre 2018 - 01:48
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Lo scrivevo giusto 24 ore fa con toni, tra l’altro, appositamente coloriti: “Apro parentesi: sono cresciuto con piloti che si mandavano a cagare senza passare dal via e se le promettevano davanti alle telecamere. Del Politically Correct, sinceramente, ne ho piene le palle”. Dopo quanto successo oggi lo ripeto con ancora più convinzione: il Politically Correct è una piaga, un finto movimento pulisci-coscienze che niente ha a che vedere con qualsiasi realtà di qual si voglia tipo, in questo caso quella motoristico-sportiva. 

Ero piccolo quando Senna prendeva a pugni Irvine reo di essersi sdoppiato a Suzuka, ricordo con fervore il tentativo di Michael di eliminare fisicamente mascellone Coulthard dopo il botto di Spa e, infine, non c’è anno in cui non ci mostrino le mosse di Karate di Piquet padre contro lo sventurato Salazar nell’82 ad Hockenheim, così come tanti altri piccoli episodi che negli anni hanno, a modo loro, forgiato la mia passione per questo sport. 

Dopo un sabato che definire vergognoso è poco dal punto di vista delle decisioni disciplinari, soprattutto per quanto riguarda quelle non prese, arriva una domenica in cui il Politically Correct frantuma qualsiasi limite dell’assurdo e ci mostra la sua faccia più viscida, finta e destabilizzante. Succede infatti che dopo aver perso una gara praticamente vinta, sulla quale nessuno avrebbe potuto dire nulla, per colpa di una manovra di Ocon da squalifica per una gara e, a mio modo di vedere, ben peggiore di quanto fatto da Grosjean ai tempi della Lotus, Max Verstappen si è preso anche due giornate di lavori socialmente utili da scontare nei prossimi sei mesi per quanto successo nel dopo gara. Nulla si sa sul tipo di lavori: potrebbe trattarsi di qualche conferenza sulla sicurezza stradale o cose così. Attività che, se fossero ritenute realmente importanti, dovrebbero essere imposte a prescindere a tutti i piloti in determinate occasioni. 

D’altronde ad un sabato orripilante non è che potesse seguire una domenica totalmente liscia nell’operato dei commissari di gara. Dieci secondi di Stop&Go per aver tentato di sdoppiarsi dal leader con pannelli blu illuminati, DRS aperto e, infine, una speronata letale, sono un buffetto rispetto alla bandiera nera che sarebbe stata più che giusta nei confronti del francese. Il quale non solo non si è scusato per aver, di fatto, regalato la gara al suo compagno di marca, ma ha pure cercato di giustificare il suo gesto con motivazioni senza senso. Il bello è che questo è lo stesso Ocon che, dopo Monaco, ha dichiarato candidamente di aver parchegg… lasciato passare Hamilton per questioni di gerarchie all’interno del mondo Mercedes. Benissimo.

Va comunque ricordato che un doppiato ha sì il diritto di sdoppiarsi dal leader, ma non in questo modo. Dare il colpetto di gas tra curva uno e due come se stesse lottando per una posizione è la cosa che sconcerta di più in una situazione già paradossale di suo. Verstappen doveva stare più attento? Probabile, ma fatico a ricordare un evento simile tra leader e doppiato, almeno a mia memoria. Di certo l’olandese segnerà anche questa negli appunti personali, anche se a quanto pare quello di Interlagos è solo l’ultimo dei tanti episodi che hanno visto coinvolti i due sin dai tempi del Kart, genitori compresi.

Quello che mi inorridisce, al di là di tutto, è l’ondata di finto buonismo che ormai da anni aleggia su questo mondo. La reazione dell’olandese a fine gara, il nervosismo di Vettel sulla pesa, l’idiota dato a Magnussen da Leclerc a Suzuka e via discorrendo sono il sale della competizione, l’espressione della tensione, la sincerità fatta pilota nel momento del gesto atletico. Vogliamo stigmatizzare tutto questo? Vogliamo davvero che invece che uno spintone assolutamente comprensibile ci sia una conferenza stampa congiunta in cui i due si danno dello stupidino e si stringono la mano da buoni amici? A che pro? Per insegnare ai bambini messi in fila come soldatini davanti alla griglia di partenza (invece delle ombrelline, sessisti!) che il motorsport è bello, gli avversari in realtà sono amici fraterni ed il mondo è bello e felice? Per favore, ma chi vogliamo prendere per il culo? Davvero vogliamo dare questa immagine falsa e stucchevole del mondo delle corse? 

Se la popolarità della Formula 1 è andata calando negli anni è colpa, oltre ai regolamenti tecnici che l’hanno affossata, anche della depersonalizzazione progressiva dei piloti, diventati dei pappagalli durante le sempre identiche conferenze stampa. Soldatini (anche loro) costretti a parlare circondati da sessantasei microfoni e, soprattutto, limitati dall’ufficio stampa anche se, magari, qualcosa di più vorrebbero dire per non sembrare tutti uno la copia dell’altro. Quando poi capitano episodi come quelli di questo weekend subito a puntare il dito, punire, stigmatizzare. Guai a minare l’immagine della Formula 1 con una parolaccia che viene subito bippata nei team radio, guai ad uscire da un recinto imposto dalle ferree regole del bon ton e del Politically Correct. 

Sapete che c’è? Che voi ed il vostro bon ton avete rotto le palle. Lasciate che i piloti, se li ritenete tali e non avvocati in giacca e cravatta, si prendano le loro responsabilità. Lasciate che si scannino in pista, lasciate che si prendano a sportellate se necessario e che se le promettano l’un l’altro. Soprattutto, e questa è la cosa più importante, imparate a penalizzarli quando esagerano e fatelo sempre, non in base al nome ed alla vostra convenienza. Tenete il polso della situazione e lasciateli liberi. Perché di venti fighette non interessa a nessuno se non a quattro uffici stampa che così non hanno da lavorare troppo alla fine del weekend.

Altrimenti dite chiaro e tondo che questo è un campionato di buone maniere, comminate squalifiche a chi sfancula i commissari e fregatevene se il Sirotkin di turno quasi finisce in ospedale. Sono certo che di questo passo, nei prossimi anni, avrete sempre più consensi. Da parte di quelli falsi come voi, evidentemente.

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