Il lancio degli stracci

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
7 Gennaio 2019 - 19:37
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Con l’avvicendamento tra Arrivabene e Binotto nel ruolo di Team Principal Ferrari, con il primo che lascia la Scuderia, inevitabilmente vengono confermate le voci che volevano i due in forte contrasto nell’ultima stagione e, in particolare, nella sua seconda metà, quella più drammatica e caotica. 

Sono più o meno tutti concordi nel dire che Hockenheim è stata il crocevia della stagione 2018 della Ferrari. Una vittoria gettata al vento, i dubbi su Vettel saliti fino a livelli di allarme poi scattato, inesorabilmente, altre volte nel corso della seconda parte di campionato.

Questo è quello che abbiamo visto con i nostri occhi. Ma c’è un’altra Hockenheim, questa volta molto più profonda, che secondo me ha cambiato le sorti della Ferrari. È quella della scomparsa prematura del Presidente Sergio Marchionne. Un’uscita di scena rapida e, a conti fatti, dolorosissima per le sorti iridate. Perché sebbene io stesso abbia criticato in un paio d’occasioni i modi non troppo politically correct del Presidente di catechizzare pubblicamente i suoi piloti, dal punto di vista dell’ordine e della solidità della squadra fino a quando è stato presente le cose sono andate più che lisce. Poi, il nulla. E non solo dal punto di vista del pilota incaricato di portare a casa il titolo.

La bella vittoria di Spa-Francorchamps, agevolata (lo voglio ricordare) da un errore di Hamilton nelle fasi iniziali, è stata una bella eccezione in un periodo nerissimo iniziato proprio dalla gara successiva a quella tedesca, il GP d’Ungheria sui quali tanti avevano puntato per la riscossa dopo la delusione nell’ormai irriconoscibile Hockenheim. Lo sconforto per la qualifica bagnata con la Mercedes che ha dominato al sabato e in gara è stato mitigato dalla vittoria tra le Ardenne. A rovinare tutto è stato il weekend monzese, con l’attesa alle stelle ed un Raikkonen ormai certo di dover lasciare la Rossa. Gli errori di Vettel hanno contribuito ad appesantire la situazione. Se fino ad un certo punto, però, il tedesco era (purtroppo per lui) un po’ l’unico responsabile delle sue disgrazie, la sensazione è che lo stesso team abbia progressivamente perso la bussola tra strategie strampalate ed indecisioni che sono costate a loro volta punti per entrambe le classifiche. 

Le prime voci di dissidi tra Arrivabene e Binotto sono di diversi mesi fa. Ma, come tutti i rumours, di solito sono da prendere con le pinze. Con il comunicato di oggi e questo cambio repentino voci ed ipotesi riprendono vita e vengono confermate, delineando a posteriori uno scenario tutto tranne che rilassato e concentrato nella seconda metà del 2018. Tocca fare ammenda sul Presidente. Il quale, evidentemente, ha giocato un ruolo fondamentale nel gestire i suoi due uomini fino a quando ne è stato in grado. Con la sua uscita di scena, evidentemente, il castello è crollato così come le speranze iridate, partendo dal cuore della Scuderia ed arrivando agli apici, ovvero i piloti. Con un Vettel ancora falloso ed un Raikkonen informato della decisione del team a ridosso di un weekend fondamentale della stagione e, se vogliamo, libero di mente.

La Formula 1 non è uno sport individuale. L’affiatamento all’interno del team è fondamentale affinché tutti i tasselli, dai meno ai più importanti, possano combaciare alla perfezione. Questa è la regola principale per porre le basi necessarie alla vittoria. Perdo il conto dei ribaltoni vissuti dalla Ferrari negli ultimi dieci anni. Non c’è più la pazienza di attendere e di lavorare all’unità del team, come successe ai tempi del gruppo indicato sempre come punto di riferimento, quello dei Todt, Brawn, Byrne, Schumacher e compagnia. Forse bisogna anche capire che quel gruppo non può essere replicato per caratura dei personaggi, epoca, possibilità ed impegnarsi a lavorare guardando al futuro, avanti e non indietro.

Se posso, questa secondo me non è una notizia di cui essere pazzi di gioia. Anche se, alla fine conta la classifica a fine anno e non un parere tra tanti.

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