Il 22, i colori e tanti ricordi. Thank you Jenson!

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
27 Novembre 2016 - 20:00
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Il cerchio si è chiuso, e lo stesso Jenson lo sa benissimo. La scelta di “riportare” sul casco i colori del mondiale del 2009 è un messaggio chiaro per tutti noi tifosi e per l’intero ambiente della F1. 7 anni fa ad Abu Dhabi Button festeggiava il titolo ottenuto qualche giorno prima ad Interlagos mentre oggi lascia, credo per sempre, lo sport che lo ha reso il personaggio che vediamo tutti.

Un “gentleman” che non ha bisogno di scrivere libri tra 10 anni per raccontare verità misteriose, oppure di offendere colleghi e direttori di gara via radio per urlare la propria frustrazione. Button ha vissuto tutti i cambiamenti della Formula 1 degli ultimi 20 anni, cambiando anche lui come persona e pilota. Da paracarro a campione del mondo, da bravo ragazzo inglese a bad boy della F1 che pensava solo alle bella vita invece che alle corse. Jenson ha avuto un percorso coerente di crescita, maturando step by step e affrontando con intelligenza e a testa alta ogni situazione che gli si presentava davanti.

La presenza di papà John ai box sempre con lui è stata fondamentale per aiutarlo e sostenerlo nei vari momenti della carriera. Quando se n’è andato, lo stesso Jenson ha saputo superare una perdita così grande con la forza di chi sa tenere vivo un ricordo andando avanti però per la propria strada. Gli occhi lucidi davanti alla foto con il padre durante un omaggio che Coulthard gli fece ad Abu Dhabi due stagioni fa sono uno dei momenti più intensi e belli dell’uomo prima che del pilota.

Nelle sua carriera ci sono stati 2 momenti che voglio ricordare; il mondiale del 2009 e la vittoria a Montreal 2011. La stagione con la Brawn Gp, partita senza aspettative e conclusa portando a casa 2 titoli mondiali ha dei contorni leggendari. Una macchina ricordata solo ed ingiustamente per il doppio diffusore (che avevano anche Toyota e Williams) portata alla vittoria nonostante uno sviluppo inferiore rispetto alla concorrenza a causa di un budget quasi inesistente. Le difficoltà di adattare il motore Mercedes, che non era quello attuale su un telaio progettato per il motore Honda. Un progetto durato un anno che però avrà un record difficilmente irripetibile. Campione del mondo al debutto e nell’unico anno in F1.

E poi la gara pazzesca di Montreal vinta nonostante 5 soste ai box, 2 incidenti e un drive through. Quando ho voglia di darmi una botta di adrenalina mi rivedo gli ultimi 20 giri che hanno visto Jenson volare rispetto agli avversari costringendo poi all’errore Vettel nel tiratissimo ed indimenticabile ultimo giro.

Due situazioni, ma ce ne sarebbero anche altre che probabilmente, se avessero visto protagonisti altri piloti più “considerati” da parte di appassionati e media, avrebbero raggiunto la beatificazione nel corso del tempo. Ma certe cose solo Jenson le ha sapute fare e un motivo ci sarà. Button non è stato il pilota più veloce ma sicuramente il più intelligente degli ultimi anni.

Sicuramente mi mancherà molto non vederlo in Formula 1, ancora stento a credere che il prossimo anno non ci sarà il suo nome in griglia. Il futuro però è pieno di tante cose come il Rally Cross, la 1000km di Suzuka e chissà, un mondiale di Triathlon da vincere. Eh si perché il Sig. Jenson Button a quasi 37 anni è anche un ironman che si diverte e fatica in una categoria mostruosamente complicata.

“The journey is the reward” è la scritta che compare sul casco di JB in questo week-end, per chiudere un capitolo importante ma per aprirne altri pieni di gioia e soddisfazioni.

#ThankYouJenson

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