I trentuno di Seb: alti e bassi di un campione di questo decennio

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
3 Luglio 2018 - 21:09
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Il tempo vola: sembra ieri quando Sebastian Vettel esordiva in Formula 1 con una capigliatura improbabile, ancora qualche accenno d’acne di fine serie e l’espressione di chi per la prima volta aveva a che fare con un mondo del quale sarebbe diventato protagonista. Sono passati undici anni da quel Gran Premio degli Stati Uniti a bordo della Sauber BMW, seguito dal passaggio in Toro Rosso prima della ribalta Red Bull che l’ha reso celebre.

Anni, successi e anche debacle più tardi, Sebastian è l’uomo con cui la Ferrari tenta l’assalto al mondiale per tornare sul tetto del mondo, dove manca proprio da… undici anni. Risale infatti proprio al 2007 l’ultimo titolo piloti ad opera di chi, ora, è compagno di squadra, ovvero Kimi Raikkonen.

Il giudizio sulla carriera di un pilota prende forma man mano che questa prosegue. Così come ogni gara è tassello di un mondiale, ogni mondiale lo è di una carriera. A questo punto, superate le duecento gare e con una bilancia in cui il piatto ferrarista sta raggiungendo a poco a poco quello della Red Bull in quanto a militanza, un quadretto del Sebastian Vettel che oggi ha compiuto 31 anni forse possiamo permetterci di tracciarlo.

Si tratta di un pilota più esperto ma non diverso, un pilota che abbiamo imparato giusto a conoscere di più. Le attitudini, i pregi ed i difetti si sono mostrati col tempo in relazione alle monoposto, all’ambiente, alle circostanze. Nella prima parte della carriera, quella dei quattro mondiali e dei numeri stracciati abbiamo visto un pilota aggressivo, veloce, in perfetta sintonia con le monoposto che gli venivano affidate. Il 2008 a bordo della Toro Rosso fu un anno sensazionale per un pilota così giovane, caratterizzato dalla vittoria a Monza sul bagnato che ancora, spesso, ci viene mostrata.

La Red Bull viene ricordata come una vettura ammazza campionati, tanto che di Fernando Alonso si diceva (e lo diceva lui stesso) “corre contro Adrian Newey”; la percezione di questo fu ampliata dal fatto che l’avversario in due delle quattro occasioni fosse proprio la Rossa. Eppure Mark Webber non è mai arrivato secondo nel mondiale e, ripescando i numeri del dominio Red Bull e di quello Mercedes, questi ultimi fanno impallidire chiunque, Ferrari di inizio secolo compresa. La Red Bull era sì la vettura migliore ma, soprattutto, nelle mani del pilota di punta. Nel primo triennio ibrido la lotta per il titolo è stata questione riservata unicamente ai due piloti delle Frecce d’Argento.

Il Vettel di blu vestito commetteva errori: basti pensare alle lotte con lo stesso Webber (Turchia 2010), a Spa 2010, a Montréal 2011. Questo contribuiva a rimpolpare il tifo contrario. La stagione 2014, che costituì un primo passaggio a vuoto prima del trasferimento in Ferrari, iniziò ad insinuare qualche dubbio sulle sue capacità. Messo sotto dal promosso Daniel Ricciardo, vincitore di tre GP contro zero del campione in carica, Vettel iniziò a vedere alle spalle le prime ombre. Anche se, per correttezza, va ricordato che nella stagione successiva Ricciardo subì lo stesso destino da parte di Daniil Kyvat. Segno che, forse, nella Formula 1 odierna una stagione negativa può anche essere contemplata e non riscrive, di certo, una carriera.

Sebastian non ha mai nascosto l’apprezzamento, la profonda stima nei confronti del suo idolo Schumi. Lo stesso Michael ricambiava nei confronti di un ragazzo con cui si trovava spesso a correre la Race of Champions, al quale consegnava le prime coppe ai tempi dei kart e per il quale non ha mai lesinato i complimenti. Anche per questo il passaggio in Ferrari ha creato un’onda di positività che ha cancellato in molti gli anni da avversario, facendo quasi sentire molti ferraristi “nelle mani giuste” per affrontare la rincorsa al titolo, soprattutto dopo anni tormentati dallo spessore caratteriale di Alonso, sempre presente e pesante con il piede ma anche, spesso, con le parole.

Vincere alle seconda gara con la Rossa nel 2015 non ha fatto altro che accelerare l’ambientamento di Sebastian e quello dei ferraristi nei suoi confronti, con i media che hanno esasperato i confronti ed i parallelismi con Michael dal quale il “piccolo” tedesco ha “imparato” sicuramente alcuni aspetti: l’attitudine al lavoro, la precisione, il non mettere in crisi pubblicamente il team nei momenti peggiori. Si tratta però di dettagli e, soprattutto, di un pilota appartenente ad un’altra generazione, figlio del suo tempo. Non so quanto abbia sentito o senta ancora sulle spalle la responsabilità di essere visto come l’erede di Michael, ma resta il fatto che Sebastian Vettel è Sebastian Vettel e non un Michael Schumacher 2,0. Con i suoi pregi, i suoi punti deboli e le sue annate no come quella del 2016: la seconda in tre anni, incolore e, a dirla tutta, inaspettata.

Il 2017 ha visto Vettel tornare al top, almeno fino a quando la Ferrari è riuscita a resistere al ritorno della Mercedes. Il punto più basso resta la spallata di Baku, soprattutto in una Formula 1 molto più politically correct rispetto a molti anni fa. Il 2018, al momento, è in bilico ma non sono mancati i momenti difficili come le ultime tornate di Baku (ancora una volta) e l’errore in partenza al Paul Ricard.

Non so se mai Vettel arriverà al mondiale con la Rossa. A chi ne critica errori o ne elogia smisuratamente le azioni, ricordo come ai tempi (e qui mi rifaccio io al periodo Schumacher, seppur in altre condizioni) ci vollero cinque stagioni per terminare la scalata non senza errori o momenti ostici come Monaco ‘96, Jerez ‘97, Suzuka ‘98, Canada e Silverstone ‘99, l’estate del 2000. Punti bassi serviti per rialzarsi fino a vincere il titolo, e questa è pura coincidenza, proprio a 31 anni.

Ma chi è, alla fine, il Sebastian Vettel che oggi compie trentuno anni? Sicuramente un pilota meritevole di appartenere alla cerchia dei migliori, uno dei protagonisti dell’ultimo decennio. Un pilota fortissimo quando sente tutto al 100% ma incline all’errore quando sotto pressione, forse più del dovuto. Più latino che germanico quando c’è da perdere la pazienza e capace, nell’arco di sette giorni, di passare da una frenata sbagliata in partenza ad un sorpasso su Hamilton come quello che abbiamo visto domenica. Alti e bassi che spesso confondono e straniscono ma che fanno parte del pacchetto Vettel. Uno che non piaceva, ora piace e magari un giorno non piacerà più. Uno i cui numeri, sicuramente, non possono essere snobbati. Uno che, ora, è atteso allo sforzo massimo, per sé e per i suoi tifosi. È il momento della verità: l’età c’è, vedremo se c’è anche lui.

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