I soldi sono sempre più importanti per ottenere un posto in Formula 1.

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Tempo di lettura: 7 minuti
di Andrea Gardenal
13 Marzo 2013 - 22:54
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Mentre i top driver, come Fernando Alonso e Lewis Hamilton, sono pagati decine di milioni di dollari per correre, molti dei loro rivali che saranno al via del campionato il prossimo 17 marzo devono portare denaro alle loro squadre per poter essere sulla griglia di partenza; inoltre, se per caso il sostegno economico promesso per qualche motivo non si concretizza, il pilota è destinato a perdere il suo posto in squadra. L’ultimo esempio risale alla scorsa settimana: la Marussia aveva presentato Luiz Razia il 6 febbraio, ma meno di un mese dopo, il 1° marzo, ancor prima della fine dei test pre-stagionali, il brasiliano era ormai fuori dai giochi, perchè i suoi sponsor non sono riusciti a rispettare gli impegni che si erano presi con la squadra. “Sono un pò sotto shock: ero ormai convinto di avercela fatta, la squadra mi aveva presentato come suo pilota e avevo già cominciato ad effettuare i primi test; improvvisamente mi sono reso conto di essere fuori dai giochi, e non per colpa mia” ha commentato Razia, “ho fatto tutto quello che potevo fare; quello che è accaduto non è dipeso da me. Purtroppo è andata così.”

Pur essendo la squadra col budget meno ricco in Formula 1, la Marussia spende circa 100 milioni di dollari l’anno (per fare un confronto i team più ricchi spendono 3-4 volte tanto), e l’anno prossimo il budget necessario per partecipare al mondiale dovrebbe essere ancora superiore, per via dell’inevitabile vertiginoso aumento del costo dei motori, causato dai nuovi regolamenti.

La Marussia ha debuttato in Formula 1 nel 2010 col nome Virgin con un budget di circa 65-70 milioni di dollari all’anno, cifra che è costantemente cresciuta di circa 10-15 milioni di dollari ogni anno; nonostante questo, la squadra russa spende comunque 35-40 milioni di dollari in meno rispetto a qualunque altra squadra. In gennaio la Marussia ha annunciato di aver raggiunto una separazione consensuale con Timo Glock, che aveva un contratto per correre con la Marussia fino al 2014; il tedesco ha comunicato di aver accettato di uscire di scena per permettere alla squadra di assumere un pilota pagante, un pò come era accaduto nel febbraio 2012, quando Jarno Trulli si era fatto da parte (più o meno volontariamente) per permettere al team di ingaggiare Vitaly Petrov. Il team principal della Marussia John Booth commentando l’addio di Glock, aveva detto che “abbiamo dovuto prendere delle decisioni per assicurare il nostro futuro a lungo termine nella categoria: la difficile situazione economica è un elemento fondamentale nelle nostre scelte e il panorama commerciale mondiale si prospetta difficile per tutti, anche per i team di Formula 1.”

La situazione della Marussia non è un caso isolato: nonostante la Formula 1 sia una miniera d’oro per i detentori dei diritti commerciali (il fatturato stimato è di circa 2 miliardi di dollari nel solo 2012), molte squadre sono in difficoltà. La prima a farne le spese è stata la HRT, che al termine della stagione 2012 ha gettato la spugna; più in generale, tra le altre squadre, anche Lotus, Force India, Williams e Caterham hanno una situazione finanziaria turbolenta.

Il sostituto di Razia, Jules Bianchi, supportato dalla Ferrari, pochi giorni prima aveva a sua volta perso il volante della seconda Force India a vantaggio di Adrian Sutil, proprio in virtù della maggiore disponibilità economica del tedesco.

Monisha Kaltenborn, team principal della Sauber, ha affermato alla Reuters: “Dalle voci che si sentono in giro, sembra che molti team siano attraversando una delicata situazione economica, chi più chi meno.” Le fa eco il suo collega della McLaren, Martin Whitmarsh: “Abbiamo preso alcuni provvedimenti per contenere i costi, ma penso che nei prossimi anni per molte squadre sarà dura non chiudere il bilancio in perdita.”

Due piloti di buon livello hanno perso quest’inverno il proprio posto nelle rispettive squadre perchè non sono stati in grado di portare contributi economici: Heikki Kovalainen e, soprattutto, Kamui Kobayashi. Il primo era riuscito a vincere il Gran Premio d’Ungheria nel 2008, al volante della McLaren, ma ha perso il posto alla Caterham quando è stato rimpiazzato, assieme al compagno di squadra Petrov, da Charles Pic e Giedo Van Der Garde, entrambi in grado di portare contributi economici sostanziosi alla squadra di Tony Fernandes. “Ho detto al mio management di non cercare denaro ad ogni costo, perchè credo che non porterebbe a nulla” ha detto l’anno scorso il finlandese, mentre era alla ricerca di un sedile per il 2013. Kamui Kobayashi, unico pilota giapponese in Formula 1 l’anno scorso, ha invece dovuto abbandonare la Sauber, sostituito del messicano Esteban Gutierrez, appoggiato dagli stessi sponsor che hanno supportato l’ingresso in Formula 1 del connazionale Sergio Perez ad inizio 2011; il nipponico aveva anche organizzato una sorta di “colletta” online per riuscire ad ottenere un posto in Formula 1, ma l’iniziativa non ha avuto l’esito atteso, nonostante la generosità dei suoi tifosi.

L’anno prima era stata la volta di Jaime Alguersuari, scaricato dalla Toro Rosso a fine 2011; lo spagnolo non è riuscito a trovare dei finanziatori che gli garantissero un volante per quest’anno, anche per colpa della pesante crisi economica che ha colpito il suo paese. Lo scorso mese Jaime ha dichiarato che “la Formula 1 è diventata un’asta, dove ottiene il posto chi offre più soldi e non chi ha più talento.”

E’ tuttavia opportuno ricordare che talvolta anche un pilota pagante è in grado di offrire prestazioni convincenti, una volta salito in Formula 1: è il caso di Pastor Maldonado, ben supportato dalla PDVSA, la compagnia petrolifera venezuelana, che è riuscito a vincere con la Williams il Gran Premio di Spagna nel maggio 2012; analogo discorso si può fare per Sergio Perez, rivale del venezuelano nelle categorie minori, pesantemente finanziato dal colosso messicano delle telecomunicazioni Telmex al suo approdo in Sauber ma in grado, in soli 2 anni, di conquistare un posto alla McLaren; Perez è salito per ben 3 volte sul podio l’anno scorso ed è stato autore, in generale, di buone prestazioni velocistiche, anche se talvolta ha mostrato di essere ancora incline all’errore.

Andando indietro nel tempo, all’inizio degli anni ’70 Niki Lauda ha cominciato la sua carriera in Formula 1 pagandosi il posto alla March, dopo che nelle categorie minori non era mai riuscito ad eccellere; nel corso degli anni, tuttavia, l’austriaco è riuscito a vincere 25 gare e 3 titoli mondiali. Lo stesso discorso si può fare per il sette volte campione del mondo Michael Schumacher, che ha debuttato con la Jordan grazie all’intervento della Mercedes che gli ha pagato il posto per correre il Gran Premio del Belgio

Insomma, non dobbiamo pensare che quello dei piloti paganti sia un fenomeno recente, anche se sicuramente le difficili condizioni economiche in cui versano le squadre hanno fatto sì che questo si sia accentuato negli ultimi anni: i piloti paganti ci sono sempre stati e, per certi aspetti, sono parte integrante di questo sport.

“Sono sicuro che molte persone, guardando a quello che sta accadendo in Formula 1, pensano “Beh, è un affare riservato a chi ha i contatti giusti”. Questo è innegabile, ma se si vuole entrare in Formula 1 anche questo fa parte del gioco: riuscire a convincere un finanziatore a puntare su di te è parte del talento di un pilota” ha detto Damon Hill.

Altri, come Whitmarsh, temono invece che l’immagine dello sport possa venire danneggiata, nel caso in cui troppi volanti vengano assegnati al miglior offerente, e credono che sarebbe necessario tenere sotto controllo questo fenomeno. “Personalmente credo che sia molto triste che ci siano così tanti piloti paganti attualmente in Formula 1: il loro numero è cresciuto notevolmente negli ultimi anni; nella massima categoria motoristica mondiale non ce ne dovrebbero essere. Inoltre se da un lato alcuni paganti sono dotati di un certo talento, dall’altro bisogna ammettere che molti di questi non sono abbastanza bravi per correre in Formula 1, e per loro pagare è l’unico modo per continuare a farlo. Purtroppo in questi tempi i piloti danno un contributo determinante alla formazione del budget dei team per cui corrono”

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