I resti di una lancia spezzata

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 5 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
23 Ottobre 2018 - 10:00

Lavorare è una faticaccia perpetua, continua, ma necessaria per stare al passo col mondo di oggi. Trovare una mansione fissa, anche solo per un lasso di tempo ristretto e non infinito, è un passo decisivo verso una propria maturazione come persona. Un impegno alla crescita che si prende con sé stessi.

Ma è chiaro che in alcuni momenti è necessario anche un po’ staccare, distrarsi, prendersi la tanto amata settimana di ferie per ricaricare le proprie pile, magari in un hotel extra-lusso o in vacanza in luoghi esotici. E’ quello che farebbe una persona normale e sana di mente, ma siccome qui si parla (anche) del sottoscritto, non è stato questo il caso. Ancora meno normale è farsi dare la settimana di ferie con un mese di ritardo e doverle per forza effettuare a ottobre, proprio il periodo perfetto direi. Chapeau.

Però sono comunque dieci giorni di riposo, quindi come farli fruttare? L’occasione perfetta per sfruttare almeno il primo weekend la dà il 16° Rallylegend di San Marino a Serravalle, che per l’occasione pubblicizza in grande stile il cinquantesimo anniversario del Martini Racing, squadra che con la leggendaria sponsorizzazione delle bevande alcoliche ha avuto il privilegio di marchiare con la propria immagine alcune delle vetture più iconiche del mondo rally. Prima fra tutte le Lancia, sia nelle corse fuoristrada che in pista.

Sono proprio loro, le auto della Casa più vincente del mondo rally, a essere le protagoniste di quest’articolo. Gli undici titoli costruttori della Lancia tra il 1972 e il 1992 e i cinque titoli piloti, spartiti tra il “Drago” Sandro Munari, Miki Biasion e Juha Kankkunen, compongono l’invidiabile record di sedici titoli, rimasto imbattuto sino alla conclusione dell’era Loeb-Citroën. Al solo nominare la Casa fondata da Vincenzo Lancia oramai più di cent’anni fa riaffiorano i ricordi, le battaglie con le avversarie e le magnifiche auto che hanno portato quello stemma in bella vista nelle corse. La Fulvia, la Beta, la Stratos, le tante versioni della Delta, che salutò definitivamente il campionato mondiale a fine 1993. Anche eventi storici, come la “fusione” sportiva con la Fiat, segnarono tanti altri successi grazie, per esempio, alla mitica 131. Nessuna però batterà la 037, la berlinetta a trazione posteriore che vinse il mondiale nel 1983; l’ultima vettura a trazione posteriore a trionfare nel WRC.

Più tempo passavo a osservare quelle vetture marchiate Martini, più sguazzavo nei ricordi e più mi saliva per la gola un retrogusto molto amaro. Penso a cos’era la Lancia ancora prima che io nascessi, a cosa significa ancora oggi, a più di venticinque anni dal ritiro ufficiale dal WRC, per lo zoccolo duro d’appassionati irremovibili che preferiscono le vetture torinesi a qualsiasi altra vettura recente del WRC+, indipendentemente da quanto bella o veloce essa sia. Quando a fine 1993, dopo una pessima stagione nonostante gli sforzi del campione in carica Carlos Sainz, la Lancia sparì dalle scene, qui in Italia il campionato rally mondiale è come se fosse morto. Anzi, ancora meglio: è come se il tempo si fosse fermato, come se nessuno di questi appassionati irremovibili voglia muovere le lancette dell’orologio in avanti. Per fare un paragone più semplicistico, è come se oggi si ritirasse la Ferrari dalla Formula 1 di punto in bianco: la squadra italiana di riferimento che se ne va dalla categoria in cui ha dominato e corso sin dalla sua nascita sarebbe uno shock tremendo e allontanerebbe qualsiasi fan ben più di un DRS, un parco chiuso, una griglia invertita o qualsiasi altra scemenza regolamentare.

Il retrogusto amaro si trasforma in vero e proprio dolore fisico quando poi vedi cos’è diventato a oggi il marchio Lancia: oltre a produrre un solo (discutibile) modello all’anno, al di fuori dei confini italiani il marchio non conta più assolutamente nulla, tanto da non vendere più all’estero. E’ vero, questo declino iniziato a metà anni ’90 non è direttamente collegato all’aver lasciato i rally o le corse in generale, ma forse lo è stato indirettamente: le corse sono il miglior modo per pubblicizzare il proprio marchio sul piano sportivo e lasciarle avrà fatto male a molti degli affezionati ai tempi. Vincere nelle corse ti fa diventare un simbolo, un monumento da rispettare, e la controprova la dà sempre la Lancia che ancora oggi viene ricordata per le sue imprese ormai datate.

E’ anche per questo che il Rally in Italia oramai è ben poco sentito, specie quello dell’era moderna/contemporanea che ha visto negli ultimi vent’anni senza Lancia mostri di bravura, alcuni ancora oggi nel pieno dell’attività: Loeb, Ogier, Neuville, Tänak, Grönholm, Burns, McRae, Mäkinen, Hirvonen, Latvala, Meeke. Anche il periodo che va all’incirca dal ritiro della Lancia a oggi ha regalato momenti di storia sensazionali per il WRC, eppure nonostante questo ho come la sensazione che tutto questo, qui da noi, passi in secondo piano. “Dopo la Lancia, il buio”, in poche parole. Certo, i rally non sono del tutto scomparsi, ci mancherebbe: il campionato italiano ha ancora il suo rispettabilissimo seguito, con Paolo Andreucci e Anna Andreussi su Peugeot a fare da portabandiera principali, ma sembra che oltre i nostri confini l’Italia non riesca a sfondare le barriere del mondo del rally internazionale. Siamo raggomitolati in un angolino e ci rifiutiamo di uscire.

Tutto è nato da quell’anno fatidico, quel 1993 in cui Lancia diede definitivamente l’addio, dopo averlo fatto in forma ufficiale poco prima. Ma sono convinto positivamente anche di un’altra cosa: che quello zoccolo duro amante delle corse fuoripista possa dare la spinta decisiva in futuro per riaccendere l’amore per il Rally qui da noi. Ne è una prova tangibile il progetto Delta Futurista creato da Eugenio Amos e dalla Automobili Amos, che mi fa nascere quantomeno delle speranze per rivedere il tempo scorrere di nuovo.

Fonte immagine: Internet (per segnalare il copyright info@passionea300allora.com)

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