Ha vinto ancora Mister Hyde

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
7 Ottobre 2018 - 12:50
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Dopo un 2016 avaro di spunti ricordo che, all’inizio della stagione 2017, avevo presentato Sebastian Vettel chiedendomi quale dei due avremmo visto, se quello in versione Dottor Jekyll o quello in versione Mister Hyde. 

Il 2017 era stato a due volti, per quanto mi riguarda più per le differenze tra Ferrari e Mercedes da un certo punto in poi della stagione. Cosa, tra l’altro, emergente sempre più anche in questo finale di campionato.

Proprio questo 2018, però, sancisce il punto più basso della carriera di un ragazzo irriconoscibile. Una carriera che ora verrà rivisitata, riscritta, ritagliata, mescolata e ribilanciata dopo quanto abbiamo visto, ancora una volta, a Suzuka. È molto facile in questo momento salire sul carro dei quattro mondiali rubati, vinti di culo, con un’astronave under the ass e via dicendo. Resto dell’idea che a due titoli vinti agevolmente, il 2011 ed il 2013, se ne siano alternati due conquistati bene e non senza difficoltà durante le relative stagioni 2010 e 2012. Non è una giustificazione, si tratta semplicemente di numeri, che mentono fino ad un certo punto e che ripropongo per cercare di portare avanti una discussione più obiettiva possibile.

L’era ibrida, come vedete, è condizionata tra 2014 e 2017 dall’80% delle vittorie da parte della Mercedes, che poco hanno a che fare con il 53% della Red Bull nel suo ciclo vincente e fanno addirittura impallidire l’era Ferrari di inizio secolo. Questo per dire che, per coerenza, se Vettel è stato agevolato (ed è vero, sia chiaro) dalla Red Bull dire il contrario di Hamilton con la Mercedes è semplicemente disonesto. Chiudo questa doverosa premessa sottolineando come entrambi abbiano goduto di monoposto al top ma con due grandi pecche: una, quella di Lewis, aver perso un mondiale dal “sempre ritenuto inferiore” Rosberg e l’altra, quella di Vettel, di essersi autoescluso dalla lotta al titolo di questa stagione e, in parte, anche nella scorsa.

E qui viene il bello, o il brutto. Perché Sebastian Vettel è l’ombra di se stesso non da oggi, non da ieri, forse addirittura dalla sportellata rifilata a Hamilton a Baku 2017. Il punto nevralgico di questa stagione è sicuramente la vittoria buttata al vento ad Hockenheim. Lì qualcosa si è rotto e mi viene da dire non solo in lui ma in tutta la Ferrari, che ha poi progressivamente perso la bussola non solo con il suo primo pilota ma in tutta una serie di scelte strategiche decisamente discutibili, tra cui quella delle gomme intermedie in qualifica ieri. La coincidenza della scomparsa del presidente Marchionne sembra sempre meno tale con lo sbando al quale abbiamo assistito con il susseguirsi delle gare. Che facesse da collante ad un team con qualche crepa a livello psicologico? Che sapesse dare una carica extra ai suoi uomini? Vai a saperlo, ma il dubbio è sempre più grande.

Detto questo, la carriera di Sebastian si può racchiudere in quello che si è visto in gara a Suzuka. Primi giri ottimi ed aggressivi, un errore ingenuo ed evitabile, rimonta ottima fino al miglior risultato possibile dopo essere terminato in fondo. Il contatto con Max Verstappen, regolamento alla lettera, gli darebbe anche ragione nel lamentarsi di uno spazio che non gli è stato dato forse a sufficienza. Fa ridere, ne sono consapevole, ma fino a quando un regolamento idiota recita che basta avere il muso all’altezza delle ruote posteriori della vettura di fronte per avere strada non possiamo farci nulla. E considerato che Vettel era ben oltre il posteriore della Red Bull, con il camera car dell’olandese dal quale è sbucata la ruota anteriore, sempre da regolamento non mi sarei stupito se Max fosse stato penalizzato una seconda volta. Sul discorso commissari e sanzioni, però, mi fermo qui, avrò modo più avanti di parlarne.

Quello che sconcerta, nell’episodio con l’olandese, è il fatto di non aver capito ancora con chi si ha a che fare. L’abbiamo visto a Monza con Bottas e proprio a Suzuka con Raikkonen: a Verstappen non interessa prendersi anche cinque secondi di penalità, se provi a passarlo devi aspettarti la difesa più decisa possibile. Decisa e non esagerata come quelle di Magnussen, di cui nessuno però parla anche oggi. Insomma, l’ingenuità di Vettel a Suzuka è stata quella di forzare un sorpasso in un punto delicato, a pochi giri dall’inizio della gara e, soprattutto, con il peggior soggetto possibile. Ed è inconcepibile che un pilota dell’esperienza del tedesco non riesca a calcolare i rischi in base all’avversario con cui si trova in lotta, perché alla Spoon Grosjean ti farà passare, Leclerc anche, Tizio Caio e Sempronio pure, ma stai per certo che Verstappen te la farà sudare come effettivamente successo.

Quella alla Spoon è un’azione che replica in toto quella vista a Monza, con un altro osso duro come Hamilton che è sì meno aggressivo visivamente ma molto più scaltro e furbo nel giocarsi le sue carte. In entrambe le situazioni Vettel ne è uscito con la Ferrari a pezzi, il morale pure ed una rimonta da portare a compimento. Il problema è la recidività degli episodi, che lasciano trasparire insicurezza e fragilità nonostante una macchina molto buona, spesso al livello della Mercedes ed in alcune occasioni superiore. Possibile che essere un pilota Ferrari porti tutta questa pressione? Sicuramente e da tempo dico che soprattutto in Italia spesso si esagera nel caricare l’ambiente, un po’ per campanilismo un po’ perché undici anni senza vincere iniziano ad essere tanti. Monza, dopo la vittoria di Spa, sembrava una polveriera. Il problema è che Vettel non è Schumacher e questo non è il 2000. 

Negli ultimi anni ho sentito spesso dire che il vero Vettel è questo: quello che sbaglia, regala punti ed è insignito di favori e considerazione oltre le sue vere possibilità. Pur concedendo il beneficio del dubbio e riconoscendo la non riconoscibilità (e scusate il gioco di parole) del tedesco di questa stagione e non solo, mi permetto con discrezione di dissentire parzialmente da questa massima per quanto visto sin dal 2008 e non solo in tempi recenti.

L’ultima stagione è il capitolo che pesa sempre di più nel libro di una carriera ed il biennio superlativo di un Hamilton, rinvigorito dalla sconfitta con Rosberg, non fa altro che ampliare se possibile l’attuale forbice  prestazionale tra i due, con una grande differenza. Il Lewis Hamilton pre-Rosberg soffriva molto più di momenti alla Vettel, mentre dopo il 2016 è diventato praticamente infallibile. Per questo l’inglese merita di diritto il quinto titolo mondiale mentre il tedesco deve fare ammenda ancora una volta, guardarsi dentro e chiedersi cosa vuole fare nel 2019. Di un Mister Hyde la Ferrari non se ne fa niente e Vettel, se non vuole rischiare un 2014 bis con l’arrembante Leclerc in arrivo, deve affrettarsi a tornare Dottor Jekyll e buttare la pozione magica.

Altrimenti si rischia di dover registrare uno dei periodi più deludenti e fallimentari della storia recente della Ferrari. Molto più di quanto successo con Fernando Alonso: il quale sbraitava, non portava rispetto ai suoi (il suo grande problema) ma al volante sbagliava quasi zero.

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