Figli del 21 ottobre. E non solo

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
22 Ottobre 2018 - 02:15
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Chissà cosa facevamo, con chi e chi eravamo undici anni fa. Quando, in una gara finale senza senso logico, un appena 28enne Kimi andava a prendersi un mondiale insperato, forse anche inspiegabile, a compensazione di due stagioni assurde come il 2003 ed il 2005. 

Chissà se pensavamo, in quella giornata brasiliana con il mondiale di ritorno a Maranello, che undici anni dopo quello stesso pilota non solo sarebbe stato ancora in Formula 1 a 39 primavere, non solo ancora al volante della Ferrari, ma sarebbe addirittura andato ancora a vincere un Gran Premio di Formula 1 in un tracciato che, ai tempi, ancora non esisteva.

Una vittoria così, dopo una gara così, come la puoi chiamare se non epica? Braccato per venti giri da uno che potrebbe essere suo figlio risalito dal 18° posto e dal futuro cinque volte campione del mondo. Con diversi, molti in rassegnata attesa di un sorpasso quasi scontato, di una nuova occasione persa, dell’ennesima giornata con la solita dichiarazione: “sarebbe stato meglio vincere”

Kimi è il più anziano del gruppo. Ha esordito a 21 anni. Lascerà il posto ad un 21enne con una vittoria di tappa al 21 ottobre (anniversario del suo titolo), conquistata davanti ad un altro 21enne. È la vittoria numero 21 in carriera: una in più di Mika Hakkinen, quella necessaria per diventare il finlandese più vincente in Formula 1. A pensarci avrebbe dovuto scegliere un altro numero per la sua monoposto. Tutto sommato va bene così.

L’avevo scritto anche dopo la pole di Monza: io a Kimi devo un Grazie gigante. Perché è stato lui a colmare il vuoto enorme lasciato da Michael nel 2006. Mi ha tenuto legato alla F1 quando credevo che la mia riserva si fosse esaurita. L’ho sempre stimato e sostenuto senza però pretendere nulla. Anno dopo anno è stato criticato, massacrato, a volte a ragione ma tante altre volte a torto, ingiustamente. Alcuni per anni hanno messo al suo posto altri piloti: Bottas, Ricciardo, Grosjean e chissà quanti altri, fino all’annuncio di Leclerc. Questa vittoria è una risposta ad ognuno di loro. Perché poteva arrivare prima (Monaco o Budapest 2017, ad esempio), ma c’erano da supportare gli interessi di squadra. Questa volta, però, è tutta sua.

In fondo, con il mondiale ormai in direzione Hamilton, si sperava che Kimi potesse lasciare un segno prima di abbandonare la Ferrari. Lo volevano i suoi tifosi e, a giudicare dalla standing ovation a fine gara, non solo. Erano nove anni dall’ultima in rosso, cinque e mezzo dall’ultima con la Lotus. Nel sondaggio globale lanciato dalla Formula 1 nella scorsa stagione era risultato il pilota più amato dai tifosi e credo sia un segnale importante, soprattutto per il fatto che ai tempi non era nemmeno presente sui social network. Figuriamoci ora. Anzi, guardateli i social. Stanno esplodendo, proprio per lui. Quello dei monosillabi, dei “Bhoaw”. Incredibile? No, affetto sincero.

Che dire, ancora. Sono felice. Ho sempre adorato le storie di chi ha saputo ribaltare le critiche, rispondere sul campo, dare segnali di grandezza a dispetto dell’età avanzata. Una pole di Schumi a Monaco nel 2012 a 43 anni, una 500 miglia di Indianapolis di Montoya nel 2015 a quasi 40, un Valentino Rossi che sulla stessa soglia corre ancora arrivando davanti al compagno. E, infine, Kimi Raikkonen. Che si prende una pole a 38 a Monza e vince ad Austin a 39 appena compiuti. La numero 21 ma, soprattutto, la prima da papà da condividere sorridente con moglie e figli. La più bella, per distacco.

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