F1 | Le stagioni del digiuno di Maranello

F1
Tempo di lettura: 9 minuti
di Gianluca Zippo @GianlucaZippo
20 Giugno 2019 - 11:30
Home  »  F1

È inutile nascondersi. L’avvio di stagione 2019 è stato devastante per la Ferrari ed i suoi tifosi. Le speranze derivate dai test invernali di Barcellona sono state malamente spazzate via dalle cinque doppiette consecutive (sette vittorie in totale su sette) di una Mercedes che, lontanissima dal sentirsi appagata dai titoli vinti dal 2014 in poi, ha finora mostrato una fame di successi ancora invidiabile, collegata ad una perfezione generale (team, piloti e pacchetto) che lascia ben poche speranze a tutti gli altri.

La Scuderia, con una SF90 che va ad intermittenza e solo su determinate piste e con determinate condizioni, si trova di fronte allo spauracchio di un’annata come quella del 2016, partita tra tanti proclami e finita molto male, non solo perdendo anche la corsa con la Red Bull per il secondo posto Costruttori ma, soprattutto, non riuscendo a vincere nemmeno una gara nel corso del campionato.

Auspicando ovviamente che questo 2019 non finisca in quel modo, il focus del nostro discorso sarà puntato proprio sulle stagioni nelle quali il Cavallino, per motivi vari, non è riuscito a salire mai sul gradino più alto del podio. C’è subito da dire che, per un team che vanta una presenza pressoché fissa nel Mondiale di Formula 1 (70 stagioni su 70 e 977 Gran Premi su 1004), non sono affatto molte le annate ‘con il becco asciutto’, ovvero 14 (ad esempio la McLaren, seconda in assoluto, è a 17 campionati senza vittorie, su 53 disputati (2019 escluso)).

Ma cominciamo il nostro viaggio. Com’è noto, il Campionato del Mondo di Formula 1 parte il 13 Maggio 1950 a Silverstone, con il Gran Premio di Gran Bretagna vinto da Giuseppe Farina (Alfa Romeo), sui compagni di squadra Luigi Fagioli e Reg Parnell. Il debutto della Ferrari arriva la settimana dopo nel Principato di Monaco: al volante del modello 125 ci sono i vari Luigi Villoresi, Alberto Ascari e Raymond Sommer, mentre con una monoposto privata si schiera Peter Whitehead; al traguardo, alle spalle di Juan Manuel Fangio, Ascari chiude 2°, regalando subito il primo podio al Drake. Nelle successive gare arriveranno altri due podi (3° Whitehead a Reims, in Francia, 2° Ascari/Serafini a Monza), ma nessuna vittoria.

La Ferrari sbloccherà la casella delle vittorie l’anno dopo (1951) a Silverstone, con José-Froilan Gonzalez, al secolo El Cabezon, imitato da Ascari nei due successivi appuntamenti del Nurburgring e di Monza; il figlio di Antonio Ascari regalerà poi alla Rossa i primi due titoli iridati (1952 e 1953). Spostiamoci quindi al 1957. La scuderia di Maranello, dopo aver raccolto tre vittorie nel biennio dominato dalla Mercedes (1954-55) ed aver vinto il titolo con Fangio nel 1956, fallisce l’appuntamento con la vittoria, nell’annata del quinto ed ultimo mondiale di Fangio (Maserati), cogliendo come migliori risultati tre 2° posti: Luigi Musso a Rouen in Francia e ad Aintree in Gran Bretagna, Mike Hawthorn al Nurburgring, in Germania.

Dopo un quadriennio positivo, culminato con i titoli di Mike Hawthorn (1958, con la D246) e Phil Hill (1961, con la famosa 156 Shark Nose, con tanto di primo Costruttori), il 1962 non vede la scuderia italiana in lizza per l’iride, questione tra Graham Hill (BRM) e Jim Clark (Lotus), con il primo a spuntarla; durante l’anno arrivano quattro podi, con il miglior risultato a Monaco (2°) con Phil Hill. In generale, gli anni ’60 non sono prodighi di soddisfazione per il Drake, se si eccettua il titolo 1964 di John Surtees. Dal 1965 al 1969, ad esempio, gli anni dispari diventano sinonimo di ‘digiuno’.

La stagione 1965, tiranneggiata da Jim Clark e dalla Lotus (6 vittorie su 9 gare), vede ben 6 piloti guidare una Ferrari almeno per una gara; come risultati, arrivano ancora quattro podi, con John Surtees e Lorenzo Bandini che conquistano il 2° posto rispettivamente a Kyalami (Sudafrica) e a Monaco. I piazzamenti in top-3 sono 4 anche nel 1967, annata del duello in casa Brabham-Repco tra Black Jack e Denny Hulme, tutti firmati dall’altro neozelandese, Chris Amon, sul gradino più basso del podio a Monaco, Spa, Silverstone e al Nurburgring. Il 1969, infine, è un’annata difficilissima per la Ferrari: mentre Jackie Stewart (Matra) si fregia del primo Mondiale, il Cavallino coglie un solo podio con Amon (3° a Zandvoort) e la miseria di 7 punti.

Dopo un triennio discreto (1970-72) dove la Ferrari lotta per il titolo nella prima di queste stagioni con Jacky Ickx, battuto dall’unico Campione del Mondo postumo, Jochen Rindt (Lotus), perito a Monza, raccogliendo un totale di 7 successi (5 con il belga ed una a testa per Mario Andretti e Clay Regazzoni), il 1973 rappresenta probabilmente una delle annate meno competitive della storia del Cavallino. Falcidiata da lotte interne, con il Drake a lungo out per curarsi da vari malanni e con Forghieri allontanato dalla GeS, la 312 B3 (la famosa Spazzaneve) regalò ben poche soddisfazioni al duo formato da Ickx e da Arturo Merzario, con la miseria di 12 punti e la decisione, per via degli scarsi risultati, di saltare le gare in Olanda e in Germania. Una fase comunque fondamentale per il successivo ciclo vincente, dato che, con il ritorno al suo posto di Ferrari, si verificano il richiamo a Maranello di Forghieri e l’approdo di un giovane Luca Cordero di Montezemolo come Assistente alla Direzione; nel finale di stagione, quindi, arriva l’ingaggio di Niki Lauda.

E appunto, dal 1974 al 1979, la Rossa porta a casa tre Titoli Mondiali Piloti (Niki nel 1975 e 1977, Jody Scheckter nel 1979) e quattro Costruttori (1975, 1976, 1977 e 1979), sfiorando il titolo anche nel 1974 e nell’iconico 1976, conquistando comunque 5 vittorie in un 1978 per il resto dominato dalla Lotus 79 e da Mario Andretti. Il 1980 è uno shock: con una 312 T5 nata vecchia e carente sotto svariati aspetti rispetto alla concorrenza, in attesa del debutto nel 1981 della 126 CK, la prima monoposto dotata di propulsore turbo della Scuderia, un demotivato Scheckter e Gilles Villeneuve vanno incontro ad un’annata disastrosa, tanto da ottenere appena 8 punti (10° posto nel Costruttori), senza podi e, ovviamente, senza vittorie all’attivo.

Gli anni ’80 vedono la Ferrari mancare la vittoria in una sola occasione, nel 1986. Nel quinquennio precedente, dopo le ultime due indimenticabili vittorie di Gilles nel 1981 a Monaco e Jarama, arrivano due Titoli Costruttori consecutivi, nel drammatico 1982 e nel 1983 (7 vittorie in totale); Michele Alboreto timbra l’unica vittoria del 1984 (a Zolder), per poi giocarsi a lungo il titolo contro Alain Prost e la McLaren l’anno dopo, vincendo a Montreal e al Nurburgring. Arriviamo al 1986, dove la potentissima ma poco affidabile F1-86 consentì al duo Alboreto-Johansson soltanto cinque podi. Nel biennio 1987-88 la Ferrari rischia ancora le ‘zero vittorie’, ma viene ‘salvata’ da Gerhard Berger, vincendo le ultime due gare del 1987 (Suzuka ed Adelaide) e il famoso GP d’Italia nel 1988, a poche settimane dalla morte del Drake, sfruttando il contatto Senna-Schlesser negli ultimi giri.

Il 1989 vede lo sbarco di Nigel Mansell e l’arrivo dell’innovativa 640 F1, la prima di sempre ad utilizzare un cambio semiautomatico sequenziale; nelle (poche) gare nelle quali i ferraristi vedono la bandiera scacchi, il Leone Inglese e Berger ottengono tre vittorie ed altri sei podi; nel 1990 ecco Il Professore, al secolo Alain Prost, che contende ad Ayrton Senna il titolo fino al controverso epilogo di Suzuka, in un’annata da sei vittorie e quattordici podi complessivi. Si entra, quindi, nella fase più difficile dell’era moderna in Formula 1 del Cavallino Rampante, ovvero il triennio 1991-93. Un team disastrato, reso l’ombra di se stesso da scelte discutibili e interminabili lotte interne, manca la vittoria per tre annate consecutive (saranno 58 le gare senza un 1° posto).

Se il 1991, grossomodo, non è eccessivamente negativo (8 podi), pur concludendosi con il licenziamento in tronco di Prost, il 1992 (soprattutto) ed il 1993 sono vere “Via Crucis”. La famigerata F92A permette a Jean Alesi due terzi posti a Barcellona e Montréal, mentre tronca la carriera di Ivan Capelli; la successiva F93A si rivela un pò più veloce, pur se ancora inaffidabile (soprattutto a causa delle sospensioni attive), conquistando due podi con Alesi (3° a Monaco e 2° a Monza) ed uno con il rientrante Berger (3° a Budapest). Ex post, l’avvenimento più importante è l’ingresso nell’organigramma del team di Jean Todt, come nuovo team manager.

I risultati si cominciano a vedere sin dalla stagione successiva, il 1994, la prima di venti consecutive nelle quali la Rossa riuscirà ad aggiudicarsi almeno una gara ad annata. Senza volerci dilungare troppo, spiccano ovviamente le stagioni ‘iridate’ made by Michael Schumacher, dall’indimenticabile 2000 (10 successi) ai dominati 2002 (15 in 17 gare) e 2004 (15 su 18 gare), senza dimenticare il 2001 (9), il 2003 (8) e, ovviamente, l’annata di Kimi Raikkonen, il 2007 (9 trionfi). Poi abbiamo le stagioni chiuse ‘solo’ con il Costruttori, ovvero 1999 e 2008 (rispettivamente 6 ed 8 vittorie), e quelle dei duelli iridati sfuggiti sul filo di lana, in ordine cronologico 1997 (5), 1998 (6), 2006 (9), 2010 (5) e 2012 (3). Nel 1996, la prima annata di Michael a Maranello, le vittorie alla fine sono state 3, mentre nel 2013 ne sono arrivate 2. In cinque occasioni, invece, la Rossa in questa fase della sua storia ha chiuso con giusto una vittoria: nel 1994 (Berger a Hockenheim), nel 1995 (Alesi a Montréal), 2005 (Schumacher nella pietosa sceneggiata di Indianapolis), 2009 (Raikkonen a Spa) e 2011 (Alonso a Silverstone).

Dopo un periodo così lungo, un’annata disgraziata come il 2014, la prima dell’era ibrida, con la dimenticabilissima F14-T, non poteva essere che uno shock per tutto l’ambiente ferrarista. Una stagione, la peggiore dal 1992, che porta a Maranello la miseria di due podi con Alonso (3° a Shanghai e 2° a Budapest). Il 2015 è l’anno dell’approdo in Emilia di Sebastian Vettel, nonché la prima stagione completa di Sergio Marchionne come Presidente e la prima di Maurizio Arrivabene come team principal. Il tedesco, ex nemico giurato dei tempi della Red Bull, viene incensato come salvatore della patria, portando a casa tre bellissime vittorie (Sepang, Budapest e Singapore). Va tutto male, invece, nel 2016, ad horas l’ultima annata del Cavallino senza ottenere vittorie. Partiti tra proclami di lotta mondiale contro la Mercedes, la SF16-H non solo è quasi sempre troppo lontana per impensierire la W07, ma perde il confronto anche con la Red Bull RB12 che ottiene 2 vittorie, mentre Vettel e Raikkonen devono accontentarsi di 11 podi.

Il 2017 ed il 2018 sono storia recente (ed anche dolorosa). Dopo anni di vacche magre, la Ferrari torna a lottare per il Mondiale (almeno per gran parte della stagione), con la SF70-H prima e la SF71-H poi che, con Vettel, creano tanti grattacapi ai Mercedes, pur se alla fine sono sempre loro, e Lewis Hamilton, a brindare. Un totale di 11 vittorie nel biennio, che al momento non sta trovando alcuna continuità in un 2019 che si appresta ad affrontare il weekend del Gran Premio di Francia, ottava prova stagionale. Vedremo se la Ferrari, con ancora 13 gare da disputare, riuscirà ad evitare l’onta dello ‘zero’.

Leggi anche

Il calendario completo del mondiale 2024

Tutte le ultime News di P300.it

È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.

LE ULTIME DI CATEGORIA
Lascia un commento

Devi essere collegato per pubblicare un commento.

COLLABORIAMO CON

P300.it SOSTIENE

MENU UTENTE

REGISTRATI

CONDIVIDI L'ARTICOLO