F1 | Brendon Hartley racconta la sua esperienza nel mondiale

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Tempo di lettura: 13 minuti
di Federico Benedusi @federicob95
31 Gennaio 2019 - 17:40
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Tra i piloti che non ricorderanno in modo del tutto piacevole l’anno 2018 c’è sicuramente Brendon Hartley. Della travagliata carriera del neozelandese si è già parlato tante volte: dall’arrivo in Red Bull in età ancora giovane alla prematura uscita dal programma giovani anglo-austriaco, poi il breve passaggio come tester Mercedes e l’uscita dal giro della F1; la rinascita nelle competizioni endurance, grazie al marchio Porsche, e dunque il rientro in F1 grazie ancora a Red Bull. Nella stagione e poco più passata con Toro Rosso, Hartley non è riuscito a lasciare il segno, complice vetture poco competitive e anche l’essersi ritrovato in un ambiente che non lo ha sempre messo a suo agio. 

Fatto sta che il 2019, per Hartley, si prospetta essere un anno sabbatico o poco più. Red Bull lo ha lasciato a piedi senza troppi complimenti per fare spazio ad Alexander Albon e ad un altro rientrante, che si potrebbe definire addirittura “recidivo”, come Daniil Kvyat. Essendo rimasto in orbita Porsche, il neozelandese dovrebbe essere il prescelto per affiancare Neel Jani nella nuova avventura di Weissach, targata Formula E.

Ecco dunque che il campione del mondo endurance, nonché vincitore della 24h di Le Mans, si è voluto togliere qualche sassolino dalla scarpa. Lo ha fatto tramite il blog “The Player’s Tribune”, parlando letteralmente a ruota libera di un 2018 di cui, nonostante tutto, si dice molto fiero. Vi proponiamo la traduzione dell’intera “bloggata”.

“In un certo senso è divertente, o forse triste, ma non ti immagini mai la fine, giusto?

Quando ero piccolo, sognavo come sarebbe stato essere un pilota di F1. Mi immaginavo in una tuta rossa, come Jean Alesi. Immaginavo il sapore dello champagne. Stavo seduto sul pavimento della mia cameretta a Palmerston North, in Nuova Zelanda, con gli occhi chiusi a percorrere giri sul circuito di Montecarlo.

Non ho mai pensato alla fine.

E ora — almeno per il momento — è finita.

Non sono più un pilota di F1.

 

Non scrivo queste righe sperando nella compassione, voglio solo raccontarvi alcune storie di uno dei migliori anni — e lo dico sul serio — della mia vita. Voglio parlarvi un po’ di come sia una stagione a bordo della vettura dei sogni. E voglio fare dei ringraziamenti. Perché questo viaggio, questo sport — la mia vita — non è una missione solitaria. Sono qui, e ho avuto tutte le opportunità che ho avuto, grazie alle meravigliose persone che ho avuto attorno. Lo so. E loro sono parte di questa storia come lo sono io.

Quindi, prima di parlarvi di come ho perso il mio sedile attorno a metà stagione, correndo sotto pressione come mai avevo fatto prima, e quindi della fine ad Abu Dhabi, vorrei parlarvi di come tutto è iniziato: con un matrimonio.

Sì, il mio primo anno in F1 è stato anche il mio primo anno di matrimonio. Può sembrare tutto un po’ troppo etico, ma sto insieme a mia moglie Sarah da 14 anni (pensavo che fossero 12 ma lei, che è seduta di fianco a me, mi ha dato una gomitata nelle costole; 14 anni, 14). Quindi direi che ci conosciamo abbastanza bene. Abbiamo avuto un casuale, ma bellissimo ricevimento a Waiheke Island. Tutto ciò è stato eccezionale. Subito dopo abbiamo trascorso qualche giorno a fare mountain bike, quella è stata la nostra luna di miele.

Ragazzi, pensateci… che inizio d’anno. Prima, il matrimonio. Poi, pochi mesi dopo, l’inizio della stagione di F1 a Melbourne, a poca distanza d’aereo dalla mia casa in Nuova Zelanda.

 

La prima gara dell’anno deve confermare le aspettative. Il nostro team, Toro Rosso, ha apprezzato il comportamento della vettura nei test prestagionali, ma a Melbourne impari a confrontarti con quello che hai — in particolare con quello che hai per davvero. Sapevamo che la nostra macchina poteva permetterci di raccogliere qualche punto e sapevo di essere capace di arrivarci. Ecco perché il nostro inizio di stagione è stato così frustrante. So che avrei potuto fare un lavoro migliore e che ho perso diverse occasioni.

Potevo usare il fatto che non avevo corso in monoposto per sette anni come una scusa ma, ad ogni modo, il fatto è che non è stato il modo ideale di cominciare. Ho pensato in positivo e sono rimasto concentrato sull’imparare da ogni cosa positiva — e meno positiva — offertami da questa situazione.

 

Passata la metà stagione non ho potuto fare a meno di pensare al mio connazionale Chris Amon, che è stato definito come il pilota più sfortunato nella storia della F1.

Cosa succede ai ‘Kiwi’ in F1?

Dal colpire uccelli all’essere costretti al ritiro nei primi giri, penalità a causa del motore, problemi alle sospensioni e tante altre cose che non sono mai state menzionate pubblicamente, mi sono sentito come se stessi intraprendendo la stessa via.

Quella del Bahrain è stata la più grande occasione sprecata ed è stata difficile da digerire perché avevamo una macchina molto competitiva in quel weekend (il che ci ha sorpresi molto). Avevo il passo per chiudere comodamente a punti e il mio compagno di squadra, Pierre, ha trascorso il weekend perfetto cogliendo il miglior risultato dell’anno.

Non sono stato lontano da Pierre in qualifica. Ma mi sono scontrato con un’altra vettura nel primo giro, ho ricevuto una penalità che mi ha fatto perdere ogni possibilità di marcare punti. Ho lasciato il Bahrain sapendo di avere perso un’opportunità di segnare i miei primi punti in F1. E sapendo che non mi potevo permettere di farlo. Sapevo che avrei dovuto fare di più.

 

Il mese successivo si è corso il Gran Premio di Monaco — la gara che tutti non vedono l’ora di correre. Io e Sarah abbiamo una bella visuale sul circuito dal nostro appartamento ed è sempre uno dei nostri weekend preferiti. Ma per me è stato difficile perché, se mi riguardo indietro, quello che ricordo di più è la camminata nel paddock per andare all’incontro con i media del mercoledì, quando ho ricevuto molte domande riguardo il mio futuro.

Eccomi qui, a poche gare dall’inizio della mia carriera in F1, a ricevere domande sulla mia fine.

La parte peggiore di quella giornata, tuttavia, è stata apprendere che c’era dei vero in quei rumours. Dopo poche gare c’era gente, a quanto pare, che non mi voleva. Sono onesto, è stato uno shock. Dopo essere entrato in F1 con un bagaglio di esperienza, due mondiali endurance, una vittoria a Le Mans e dopo avere battuto il mio compagno in qualifica in due delle prime tre gare, è stato difficile credere che ci fossero già discussioni su come rimpiazzarmi.

Succede in F1, tuttavia. Questo sport coinvolge tanti soldi e tante persone, la politica è una cosa naturale. Se sei un fan lo sai, se sei un pilota lo vivi.

Credo sia giusto dire che ho sempre, sempre avuto il supporto dei ragazzi del team. I meccanici, gli ingegneri e tutti quanti in Toro Rosso dedicano la maggior parte della loro vita lavorando un sacco di ore per dare al team e ai piloti la vettura più competitiva possibile, ogni settimana. Ci sono più di 500 persone in Toro Rosso — non sorprende che la F1 sia uno sport di squadra.

Sono tornato nel nostro appartamento quella notte guardando i muretti di Montecarlo e sapendo che, se ci fossi finito contro in quel weekend, la mia carriera in F1 sarebbe potuta finire dopo pochi giorni. Sapevo che in ogni sessione avrei avuto più peso in macchina con me. Ogni giro, ogni risultato sarebbe stato posto sotto esame e avrebbe potuto essere utilizzato contro di me per togliermi il sedile.

Questo è un tipo di pressione che non avevo mai sperimentato prima. Ma il modo in cui ho risposto, il modo in cui sono andato avanti a testa bassa — è una delle cose di cui vado maggiormente fiero di questa stagione. Ho disputato ottime sessioni nel cammino verso la gara, ma domenica sono stato buttato fuori e non ho avuto modo di dimostrare nulla. 

Quando succede questo, è una sorta di ritorno al punto di partenza. Non c’è tempo per recriminare, la pressione è intensa. Questa è la cosa affascinante della battaglia a centro gruppo della F1. Molto lo fa la lotta per il titolo ma i team di metà classifica, che letteralmente lottano per il loro lavoro, per le loro carriere, vivono con un’intensità diversa, che non sempre è mostrata dalle telecamere.

 

La sensazione di dovermi guardare le spalle non se n’è andata per tutto l’anno. Ma è andata così. Ogni pilota o atleta a livello professionale deve convivere con la pressione e tutti hanno il loro modo di gestirla, o addirittura di trasformarla in qualcosa di positivo. La pressione arriva da ogni parte in F1, ma la sensazione di essere sotto un microscopio ogni volta è una cosa che non avevo mai percepito fino a questo punto. Mi sentivo come se qualcuno avesse potuto scrivere o parlare di ogni mia scoreggia in macchina. Mi sono ritrovato a temprare il mio approccio, ad essere più egoista con il mio tempo a disposizione nei weekend di gara e a fregarmene di cosa venisse scritto o di cosa si pensasse di me. Ero chiamato a svolgere un lavoro durante le gare e ho spesso dovuto ricordare a me stesso che dovevo divertirmi. E credetemi, all’interno di una vettura di F1 c’è molto con cui divertirsi.

Quando la gente mi chiede quale sia la cosa più impressionante della F1, normalmente penso alle qualifiche. Ovviamente ci sono migliaia di cose che potrei menzionare, incluse l’ingegneria e la tecnologia, ma in quanto pilota le sensazioni della qualifica sono difficili da rendere a parole. Il serbatoio da 100 litri è completamente vuoto quando passi la linea del traguardo, il motore è oltre il limite, i settaggi aerodinamici sono massimizzati e le gomme hanno un solo giro di prestazione pura. Ci metti una vita intera a preparare e affinare le tue doti per portare una F1 il più vicino possibile — e talvolta anche oltre — il limite in qualifica. Questa è una sensazione che non dimenticherò mai e so di essere un privilegiato a poterla conservare nella mia memoria. Le F1 hanno battuto la maggior parte dei record della pista nel 2018 e con tutti questi cambiamenti regolamentari è possibile che non saranno mai più così veloci. Un altro modo per descrivere le forze in campo alle persone è attraverso il peso sul collo. Subiamo circa 5G di forza ogni volta che tocchiamo il freno e giriamo il volante, il che equivale a 35 chili di forza sulla testa ad ogni movimento. Abbiamo possibilità di respirare solo sui lunghi rettilinei, anche se dobbiamo cambiare le marce e aggiustare le migliaia di settaggi sul volante (tramite bottoni e rotelline), pertanto quel tempo passa molto veloce.

Quando penso al brivido puro, penso alle qualifiche della F1.

 

Un’altra cosa che ricorderò sempre, e che voglio condividere, è il supporto dei fans su ogni circuito oltre a quello che ho ricevuto dalla Nuova Zelanda. Mi piace pensare di essere una persona normale che viene dalla Nuova Zelanda ma in Giappone ad esempio, con migliaia di fedeli sostenitori di Honda, ti fanno sentire come una rockstar. Ho sempre cercato le bandiere neozelandesi durante le drivers’ parade. Saremo anche una piccola nazione dall’altra parte del mondo ma ci puoi trovare ovunque, ci mettiamo del nostro, ci piace far sentire il nostro peso in quasi tutti gli sport che pratichiamo. 

Grazie a tutte le persone che mi hanno sostenuto, l’anno scorso. Davvero.

Quei ricordi — quelli che coinvolgono i fans, i miei amici e il team — sono quelli che apprezzerò maggiormente ripensando a questo periodo della mia vita.

Perché loro sono stati con me anche quando abbiamo avuto successo. I punti ottenuti in Azerbaijan, in Germania e negli Stati Uniti, il sesto posto nelle qualifiche in Giappone — ci sono stati alcuni momenti chiave in cui tutto è andato al suo posto. In quelle occasioni ho sorriso ancora di più e ho sentito che, nonostante tutto quello che è stato scritto, meritavo di essere lì a fare a gomitate con i migliori del mondo. Credo di avere dimostrato le cose migliori alla fine dell’anno, quando ho guidato con maggior confidenza e tutti i pezzi del puzzle sono andati assieme più spesso. Ho corso costantemente sul livello del mio compagno di squadra, o anche meglio. Ho imparato lezioni fin dall’inizio della stagione e ho utilizzato quell’inizio difficile per fortificarmi. 

Così, andando verso Abu Dhabi, sapevo che a prescindere da quello che sarebbe accaduto dopo la gara io avrei lasciato il circuito a testa alta. 

Ma, come i fans, non avevo idea di quello che stava per succedere. Questa è la politica della F1, può essere un pochino… scomoda. Tutti camminano sulle uova e non c’è sempre chiarezza. Quindi ho fatto tutto quello che potevo fare: il mio lavoro. Ho battuto il mio compagno di squadra in qualifica e domenica sera sono arrivato 12°.

Un’ora dopo, sono stato convocato ad un meeting.

E pochi minuti dopo, non ero più un pilota di F1.

Sono tornato nel mio stanzino, ho abbracciato Sarah. Ci sono state lacrime (Sarah è incline alle lacrime), un po’ di tristezza, ma guardando già al futuro e ai prossimi passi. Il mio amico Mark Webber è venuto a trovarmi poco dopo. Conosce giusto una cosa o due a proposito di questo sport, ascolterò sempre con attenzione ogni consiglio che mi darà. Anche il mio allenatore, Rich, e il mio amico Joe erano con me. In quel momento è stato bello avere alcuni dei membri più stretti del mio team con me, più tardi ho chiamato anche altre persone che avevano avuto un ruolo importante nella mia storia.

Nel meeting non mi è stato detto molto. Era chiaro già da Montecarlo che era in corso un piano per rimuovermi. 

Questo è tutto. Non importa cos’ho pensato.

Quindi, dopo avere lasciato Sarah e i miei compagni, sono tornato nel garage e ho comunicato ad alcuni dei ragazzi che non sarei tornato. È stato difficile. Quei ragazzi e quelle ragazze hanno dedicato tante ore della loro vita a questo sport e il team non sempre dà loro le ricompense che meritano, molto spesso ci si concentra sui piloti più che sul team nell’insieme. Sono stato un membro fiero del team Toro Rosso e di Honda, salutarli è stata una delle cose più difficili da fare.

Ho fatto qualche altro giro nel paddock, ho ringraziato i pochi fans che mi avevano aspettato. Tutto è stato abbastanza surreale.

 

Ho lasciato il circuito sentendomi esattamente come quando ci ero entrato: fiero.

Fiero dei miei amici e della mia famiglia. Fiero del mio team. Fiero di me stesso.

Mi mancherà. Mentirei se dicessi il contrario. Ma sono eccitato per quello che verrà. Mentre scrivo, sto mettendo assieme i pezzi per il 2019 e oltre. Sono fortunato ad avere qualche opzione di fronte a me, ma devo assicurarmi che siano stimolanti. Voglio qualcosa che continui a stimolarmi, a spingermi, a rendere felice me e chi mi sta intorno. La porta della F1 non è chiusa e l’esperienza guadagnata in una stagione al top di questo sport mi permetterà di arrivare più preparato e più forte a qualunque cosa accadrà d’ora in poi.

Con tutto ciò, chiudo questo capitolo per ora.

Spero di rivedervi presto.

Grazie.” 

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