Due idoli, una giornata indimenticabile

IndyCar
Tempo di lettura: 8 minuti
di Federico Benedusi @federicob95
25 Maggio 2015 - 01:08
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Di solito non scrivo articoli “a cuore aperto”, vuoi perché sono una persona abbastanza introversa e certe sensazioni le tengo per me, vuoi perché comunque io qui mi limito a scrivere articoli sulle categorie “minori” (che a me dà pure fastidio quando le chiamano così) senza esprimere troppi pareri personali.

Questo 24 maggio 2015 però è stato diverso. Una scarica di adrenalina continua, e la Formula 1 c’entra ben poco, anche perché in questa domenica appena trascorsa Formula 1 e adrenalina non sono andati esattamente a braccetto, sciocchezze nel box Mercedes a parte. Ma quella io non la chiamo adrenalina.

C’è chi ha amato (sì, perché alcuni piloti si amano, non in senso carnale bensì sportivo ovviamente, ma è amore) gente come Schumacher, Senna, Prost e altre leggende, tornando indietro nel tempo. Per quanto mi riguarda non è così, se non altro perché gli ultimi due non li ho mai visti correre, ma nemmeno Schumacher l’ho mai amato come pilota, mi ha naturalmente esaltato per le molteplici imprese ma probabilmente solo perché correva sulla Ferrari, mai davvero amato. Ed è per questo che ora sono qui a scrivere. Perché il pilota di cui ero sportivamente innamorato era (ed è tuttora) lui, quello che era “bollato” come l’avversario numero uno, il cattivo. Talmente odiato che uscivano persino insieme.

Juan Pablo. Come lo chiamavano i buontemponi? Fat One, ironizzando sull’assonanza tra Juan e “one”, il numero uno, e sulla sua notevole stazza assunta nel periodo in Nascar. Ebbene, il cattivone colombiano non lo chiamano “One” mica per caso, perché il numero uno sembra tornato ad esserlo davvero, adesso. Quindici anni dopo, un’altra vittoria nel catino dell’Indiana, la corsa per monoposto americane più prestigiosa e sentita, quella che vale una carriera.

Devo dire che come pilota ammiro anche il suo compagno di squadra, quel Will Power (altro cattivone eh, evidentemente mi piacciono i malvagi) che gli è arrivato in scia e che pure avrebbe meritato la gloria e la gioia di scolarsi quella bottiglia di latte. Ma Juan Pablo è diverso, quell’eroe che vedevo alla televisione quando ero piccolo, quel cattivo che però a me piaceva così tanto. Emozione pura, quando è tornato alla vittoria l’anno scorso a Pocono, felicità immensa per il trionfo ad Indianapolis.

Una tamponata dalla de Silvestro, sosta ai box e quando la prima caution termina è trentesimo. Rimonta forsennata, un sorpasso dopo l’altro come lui e pochissimi altri sanno fare. Deve essere la sua giornata, nel giro di una buona mezz’ora è già lì con i migliori. Poi sbatte Kanaan, Pagenaud ha un problema, le legnate contro il muro si susseguono (per fortuna senza i decolli visti nelle prove) con il connazionale Saavedra che si fa pure male (speriamo non troppo). E Juan Pablo resta lì, pronto per la battaglia finale. Dopo l’ultima neutralizzazione è battaglia, quella vera. Con Dixon, vecchia volpe che però perde colpi negli ultimi giri, con la giovane incognita Kimball, ma soprattutto con Power: il suo compagno di squadra e, in quanto tale, primo avversario… e lo dice anche la classifica del campionato.

Nulla da fare, ultimi quattro-cinque giri alla morte e il latte, insieme alle foto di rito sul Brickyard, sono roba sua. Pazzesco. Ancora il Re di Indianapolis, quindici anni dopo. Il tempo che passa fuori ma non dentro. Chiamatelo pure Fat One, uccellacci del malaugurio, basta che One lo scandiate bene, a voce alta. Sorry Will, ti stimo perché sei un “genio e sregolatezza” come pochi altri nella storia del motorsport, ma sarà per la prossima volta.

Lo sport è particolare. E in questo caso non è come le donne. Di “donne della vita” ce n’è una sola, a volte nemmeno quella. Di “piloti della vita” non è detto che ce ne sia uno solo, ma almeno qui la bigamia non è reato.

Si torna indietro di qualche ora, per trovare un pilota molto simile al cattivo colombiano con cui, pur non condividendone la nomea né la popolarità, ha in comune una grande grinta e un altrettanto grande coraggio.

Ma tanti concetti sono sconosciuti a Gianni Morbidelli. Uno di questi è la fortuna. Certo non è il pilota più conosciuto al mondo, ma è un pilota che durante la sua carriera tutto ciò che ha ottenuto se lo è dovuto conquistare. Penso sia uno dei pochi audaci dei quali la fortuna si è dimenticata, alla faccia del vecchio detto.

Pilota di una simpatia e di una disponibilità forse unici, un gran manico spesso dimenticato, più che altro perché il piede è l’unica cosa abbastanza pesante che possiede. La valigia invece più di un tanto non ha mai pesato, e in un mondo difficile come la Formula 1 degli anni novanta questo significava quasi sempre l’essere relegato alle scuderie di seconda-terza fascia, se non eri un autentico fenomeno, perché in pista di quelli ce n’erano eccome. Il buon nome ce lo avrebbe anche, ma il padre costruisce le moto, dunque se corri tra le auto sei come tutti gli altri.

Corre a ruote coperte ormai dal 1998, dopo avere lasciato definitivamente il ruolo di collaudatore Ferrari per andare a correre nel turismo inglese. Quest’anno, dopo avere passato ogni categoria turismo e gran turismo possibile ed immaginabile, è arrivato nella TCR nata dall’idea di Marcello Lotti, noto agli appassionati per essere stato team manager della BMW ai tempi gloriosi del Superturismo oltre che promoter del WTCC per circa un decennio.

E per Gianni, come per Juan Pablo, sportivamente è amore. Un pilota che ha iniziato a prendermi sin da quando ho iniziato a guardare oltre la Formula 1. Non è chiaramente un fenomeno, perché altrimenti sarebbe arrivato ben più in alto (anche se dove avrebbe meritato di arrivare non ci è arrivato comunque, perdonate la ripetizione), ma mi prende. Vederlo correre per me è fantastico. Pure 10 Euro per entrare nei paddock Superstars di Monza e Imola solo per vedere lui e fare una foto con lui. E lui è lì che sorride, con quella vocina che può strapparti anche una risata di primo impatto, ma che non è mai banale.

Due gare di sportellate. Monza è il tempio della velocità e la sua Honda Civic non manca certo di cavalli in confronto alle Seat che rappresentano la maggior parte del parco partenti. Nella prima gara parte male (che brutto marchio di fabbrica…) ma rimonta, via Belicchi e Oriola (quest’ultimo avversario giovane e tostissimo, nella lotta al titolo) ed è il trionfo. Ora bisogna centrare la doppietta, perché già a Shanghai si poteva fare ma la solita, immancabile, sfortuna non ha voluto.

E in gara-2 trova l’osso duro, almeno quanto lo è lui. Perché appena due settimane prima, in Portogallo, Stefano Comini non gliele ha mandate a dire. Uscito di strada, sull’eterna via di fuga asfaltata di Portimão, lo svizzero nel rientrare in carreggiata gli sbatte la porta in faccia. Quella domenica a Gianni succede di tutto, sembra che ce l’abbiano tutti con lui, che abbia un mirino addosso.

morbidomonza

Un affronto. Comini è una iena, in gara-1 ha commesso un erroraccio e ha perso la leadership della classifica. Monje con la Opel cerca di intromettersi, ma entrambi hanno la meglio sul catalano e si involano. Gianni tenta due volte l’attacco su Stefano, in fondo al rettilineo, e in ambedue le occasioni è contatto, duro. La Seat ha la peggio, all’ultimo giro, dopo la seconda botta, violenta ma non scorretta perché il turismo è maschio e lo è da sempre. Un testacoda e solo un quarto posto, mentre il Morbido festeggia ancora. Una doppietta voluta e ottenuta con le unghie e con i denti. Le vittorie si conquistano, nessuno ti regala nulla.

Per questo adoro Gianni, uno che non molla mai. Le botte in gara si danno e si ricevono, in silenzio. La prima posizione in classifica è meritata, eccome. E sono sicuro che non finirà qui, perché ad arrivare a novembre è ancora lunga.

Entrambi, gli eroi di cui ho parlato, sono in testa ai rispettivi campionati. Un’emozione dietro l’altra, sperando che nei prossimi mesi possa essere ancora qui a festeggiare i trionfi di questi due ragazzi. Sì, ragazzi, perché non saranno più nel fiore dei loro anni, ma il coraggio da leoni che mostrano in pista ha pochi eguali. Sperando che questa determinazione possa portarli a conquistare un altro titolo.

Grazie Juan Pablo, grazie Gianni. Siete grandi. E non dico “cento di queste giorni”, perché la vita è fatta di gioie e dolori, ed è anche per questo che domeniche come questa sono così belle e indimenticabili. A giornate difficili ne possono seguire altre che sono un’autentica sbronza di emozioni positive. E il godimento è doppio.

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Federico Benedusi

fonte immagine di copertina: wishtv.com

fonte immagine articolo: tcr-series.com

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