Doloroso ma logico

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 5 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
11 Ottobre 2018 - 20:00

Tra pochi giorni la Superbike segnerà un nuovo traguardo mai raggiunto, quello di correre per la prima volta in Argentina dopo trent’anni di competizioni delle derivate di serie, stranamente non a Termas de Rio Hondo ma su una pista totalmente nuova, San Juan Villicum. Anche in un momento di crisi del prodotto come quello attuale, è pur sempre un record da celebrare; sono quelle cose che accendono ancora qualche lume di speranza per questo campionato.

Dall’altra parte, proprio a Villicum si rischia di avere l’ufficialità di un addio molto doloroso per il campionato. Nonostante siano ormai tre stagioni che il marchio in questione non si sta impegnando al 100% in SBK, sarà comunque molto triste non vedere le moto di questa Casa sfrecciare sulle piste insieme alle altre derivate di serie, tra cui Kawasaki, Ducati, BMW e via discorrendo.

Fa male, onestamente. Aprilia è stata uno dei due marchi che, nelle ultime dieci stagioni di Superbike, hanno segnato lo standard da raggiungere e superare per competere sia in ottica iridata che nelle singole gare. Superata solo dalla Kawasaki con Tom Sykes prima e lo schiacciasassi Jonathan Rea dopo, la RSV4 dopo solo un anno dal suo debutto nelle mani di Max Biaggi è riuscita a raggiungere il sogno del titolo iridato sempre grazie alle doti del “Corsaro”. Un successo tutto di casa nostra, tutto del tricolore italiano, ripetuto due anni dopo a Magny-Cours, nel magico giorno del sesto titolo di Max e del suo ritiro ufficiale dalle competizioni. Alle due imprese di Biaggi si aggiunge anche il finale thrilling con tanto di rimonta di Sylvain Guintoli nel 2014, nell’ultima stagione in forma totalmente ufficiale della Casa di Noale.

Sembra passata una vita, ma in realtà sono a malapena quattro anni da questa realtà. Quattro anni da quando l’Aprilia, che fosse con Biaggi, Laverty, Melandri o Guintoli, era vincente e da mondiale. Quattro anni nel quale, quasi parallelamente al graduale addio della Casa veneta, il prodotto offerto del campionato è passato dall’ottimo al pessimo, dal competitivo allo scontato, tra un manico irraggiungibile e imbattibile come Rea e lo zampino di una Dorna che ne combina una più del diavolo, pur di dare maggior visibilità al Motomondiale.

A poco sono serviti i vari tentativi di Red Devils, Ioda e Milwaukee di portare in pista le RSV4 che, senza un supporto diretto dalla Casa madre e senza un team davvero di riferimento intenzionato a portare avanti il progetto a lungo, sono rimaste piuttosto indietro rispetto alle avversarie principali. Nove anni sulle spalle di un mezzo sono tanti (e la vecchia CBR1000RR ce l’ha insegnato bene) e in queste condizioni era impensabile che l’Aprilia, tra il 2016 e il 2018, fosse anche solo in grado di avvicinarsi a Kawasaki e Ducati in testa. C’è sì stato un avvicinamento negli ultimi round (la fantastica pole di Laverty a Portimão ne è una prova), ma questo non fa altro che rendere ancora più amaro il sapore di quest’addio.

Le scelte fatte da Romano Albesiano e dal gruppo Piaggio negli ultimi quattro anni sono stati tutti in funzione della MotoGP, è chiaro come il sole. Diventare potenzialmente dei protagonisti nella classe regina del motorsport a due ruote sarebbe stato un colpaccio per cui erano, e sono, necessarie tutte le forze possibili. La paura, a giudicare da come stanno andando le cose per Aprilia insieme al team Gresini, è di aver valutato clamorosamente male il livello necessario per partecipare al campionato massimo e i magri risultati ottenuti, insieme alle colorite dichiarazioni di Redding sulla RS-GP, finora lo dimostrano ampiamente. Anche per questo motivo il 2019 dev’essere l’anno della svolta per Aprilia in MotoGP: un pilota nuovo veloce e di buon livello (sì, lo penso davvero su Iannone, non ho preso una tegola in testa), un team più fornito di uomini provenienti dalla Superbike per concentrarsi in questo campionato e una moto che potrebbe (si spera) non aver ancora mostrato tutte le sue potenzialità.

Quella su cui Aprilia ha puntato nel 2015 è una scommessa grossa, ma mi rendo conto a posteriori che forse era anche l’opzione più ragionevole. Nelle mani di Dorna, la Superbike subisce quasi forzatamente il confronto con la MotoGP e chiaramente perde in modo clamoroso su quasi ogni fronte. Anche in termini di visibilità, sponsor e pubblico raggiunto non c’è partita tra le due e riuscire a vincere nella classe regina sarebbe la pubblicità perfetta per il proprio marchio. Se dovessero quantomeno essere la sorpresa del 2019 in MotoGP, aver lasciato le seconde file della SBK pur di diventare un elemento rilevante “dall’altra parte” sarà stato corretto.

Anche se sono consapevole di questo, non riesco a smettere di dispiacermi per la (probabile) partenza di Aprilia dal campionato delle moto di serie, molto più di quella di MV Agusta. Sarà che quella moto così acerba sia diventata subito la migliore, la moto da battere nelle mani del mio idolo Biaggi, sarà che è stata l’ultima moto italiana a mettere al suo posto le “Verdone” in un momento di massimo splendore delle moto giapponesi, ma non vedere più quel razzo nelle mani di Laverty e Savadori nonostante le potenzialità di cui dispone sarà uno shock, uno spreco. Un dispiacere.

Ma in fondo si deve andare avanti, sperare in una ripresa del campionato in sé e in una bella stagione di corse. Nell’attesa però, vado a farmi del male nutrendo la mia nostalgia con le gare del 2010. Allora sì che quell’Aprilia navigava meglio di un galeone nelle mani del “Corsaro”…

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