#Divanopoli: quando una “colpa” diventa uno slogan

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Tempo di lettura: 7 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
13 Aprile 2017 - 18:30
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“Perché voi dal divano non capite”, “Perché voi dal divano non sapete”, “Perché voi non…”, “Divano”, “Divano”, “Divano”. E così via. Settimanalmente, quotidianamente.

Da mesi, ormai anni, a questa parte, il web si divide tra giornalismo e blog, con tutte le accezioni e le eccezioni del caso. Giornalisti contro blogger, blogger contro giornalisti, giornalisti contro i tifosi del divano e viceversa. 

Il divano, appunto, ormai diventato il simbolo, per alcuni professionisti del settore (nel nostro caso motoristico), di un modo di seguire le corse da amatori, inesperti, semplici abbonati televisivi o magari sprovveduti. In poche parole, quando si legge un Pro citare l’elemento essenziale di qualsiasi soggiorno, quasi sempre è in termini negativi, una sorta di “Cosa vuoi capire te, che segui dal divano e non sai niente”. Da qui, e precisamente dall’ultima diatriba di questo tipo andata in onda su Twitter circa tre settimane fa, è partito l’hashtag #divanopoli (a proposito, l’immagine di copertina è ad opera di un seguace, @ImMauro), supportato da decine di utenti che, come e me e come tanti, per un motivo o per l’altro seguono il motorsport dal divano di casa e si sono sentiti, e si sentono, catalogati con un tono dispregiativo che non piaceva e non piace più.

Sono anni che mi imbatto in questo genere di discorsi e che entro in polemica (o litigo proprio) con professionisti che trattano i blogger come dei ruba lavoro senza arte né parte e i divanari come poveri fessi che non sanno di cosa stanno parlando. A prescindere, via di tutta l’erba un fascio. Alla lunga il discorso stanca, e benché io sia stato consigliato più e più volte di lasciar perdere con questo genere di polemiche, arriva prima o poi sempre il momento per mettere i famosi puntini sulle ‘i’. Credo che questo sia il caso. 

Parto dal web: Internet ha aperto le frontiere e dato possibilità a tutti di esprimersi con una tastiera e un monitor. Questo non sempre è un aspetto positivo e non sempre è negativo. Ma non esiste il bene o il male in assoluto. Il ragionamento secondo cui tutti i blogger sono dei cazzari e degli usurpatori a priori serve solo a sottolineare un senso di disagio o il tentare di difendere un orticello in pericolo, cosa che non dovrebbe succedere se ci si sentisse forti del proprio ruolo: dettaglio che, infatti, vale per alcuni pro nel vero senso della parola. Perché di professionisti che apprezzano i blogger e non li fanno sentire inferiori, di professionisti che mossi dalla curiosità escono dal recinto e si informano anche su quello che succede fuori dalla cerchia, ce ne sono eccome. Mi sono sempre chiesto quale sia l’interesse di alcuni esponenti di grandi testate di criticare i blog, che di norma registrano numeri infinitamente inferiori e non possono certo competere o ambire a rubare pubblico. Sui numeri in particolare, inoltre, ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, perché ormai non contano più nulla da tempo vista l’influenza di fattori esterni. Ma questa è una nota tecnica della quale eviterò di parlare in questa sede.

La grande forbice tra professionisti e blogger, inoltre, si è ridotta ampiamente da quando, negli ultimi anni, anche a disposizione del divanaro di turno ci sono dati che magari, prima, erano a portata di mano solo in loco. Riguardo il Motorsport parlo di tempi, report e quant’altro che, pur non essendo in circuito, possono aiutare a farsi un’idea di base su quello che sta succedendo. Per quanto riguarda le categorie maggiori, poi, il live timing è un must a fianco al portatile o al pc durante le gare. Andate sul sito della FIA e cercate la gara in Cina: trovate tutti i cronometrici sessione per sessione per ogni pilota. Mancano solo i carichi di benzina, e questi mi pare che il professionista al pari del divanaro difficilmente li possa conoscere. 

Come se i divanari, poi, lo fossero esclusivamente per scelta o comodità. Nel nutrito gruppo di utenti del divano c’è una miriade di storie diverse. C’è, prima di tutti, chi l’autodromo non se lo può permettere per mille motivi: economici, logistici, quel che volete. Ma segue, legge, si informa. C’è chi fa sacrifici per pagare un abbonamento che gli permetta di seguire la sua passione. C’è chi l’abbonamento non riesce a farlo e si esclude dal mondo per aspettare le differite. C’è chi si spacca la schiena tutta la settimana e trova, in quel divano, due giorni di relax per poter guardare le corse. Tutta gente che, se ne avesse la possibilità, sarebbe in autodromo ogni settimana pur di non farsi sbeffeggiare o deridere da professionisti che ogni tanto la fanno fuori dal vaso e non portano rispetto a chi contribuisce, a volte, proprio al loro stipendio. Professionisti che, magari, hanno un’anzianità di servizio nei confronti di uno sport infinitamente minore rispetto a chi lo segue magari da decenni pur non essendo quasi mai in pista. E allora come fai a capire chi ne sa di più?! Quindi occhio con il far intendere costantemente che il divano è il luogo prediletto dagli ignoranti, perché non sempre è così. Così come non sempre la scrivania con poltrona in pelle umana è sinonimo di intelligenza sopraffina. 

Potrei capire, tra l’altro, se le critiche e le sentenze nei confronti dei poveri blogger o divanari piovessero da un mondo, quello del professionismo, assolutamente impeccabile in ogni sua forma ed oggettivamente inattaccabile. Il problema, però, è che la crisi ha colpito anche i media e la qualità negli ultimi tempi ne ha risentito parecchio. Social gestiti alla bene meglio, colmi di errori storici ed imprecisioni. Contenuti dall’italiano rivedibile (per restare sul politically correct e non sottolineare, in alcuni casi, l’assenza della quinta elementare) e spesso meno interessanti di quanto si possa trovare da altre parti, in Italia e soprattutto all’estero. Poi sia chiaro: non che il mondo dei blog sia tutto rose e fiori. Qui non si vuole far prevalere una barricata rispetto all’altra, solo sottolineare che c’è del buono e del meno buono da entrambe le parti.

I professionisti in generale, e quelli del Motorsport in particolare, hanno delle grandi responsabilità sulle spalle, prima tra tutte quella di raccontare nel modo più fedele possibile ciò che succede in pista. Dovrebbero essere, di fatto, gli occhi di chi sta a casa sul divano ed aiutare il pubblico a capire, invece di ergersi a chissà quale ruolo superiore. Dovrebbero anche ricordarsi che giornalisti non si nasce e quindi tutti, bene o male, sono stati blogger nella vita, magari con ruoli e tempi diversi. Insomma, se da un lato chi sta a casa dovrebbe prender coscienza del fatto che non è vero che “anche mia nonna vincerebbe con quella macchina lì”, concetto che sa molto di sottovalutazione dell’attività di pilota, dall’altro chi per mestiere vive ciò che per molti è pura passione e, purtroppo, televisione, deve prender coscienza del fatto che chi è a casa spesso non lo è per scelta, ma per obbligo e necessità. E questo non esclude il fatto che i tanto odiati geni sul divano possano essere informati e competenti.

Era nell’aria che prima o poi, a furia di leggere commenti anti-divano, il bubbone sarebbe esploso. Ed infatti ora l’hashtag #Divanopoli è diventato il simbolo di chi si sente motoristicamente discriminato (termine troppo forte, lo so, è per chiarire l’idea) e sta crescendo di espansione gara dopo gara, ora dopo ora passata sul divano. Addirittura, durante le FP3 di Shanghai, è finito in trend su Twitter, e sinceramente non ho idea di quello che succederà da qui in avanti. 

Si tratta, alla fine, di una goliardata, di un moto di ribellione scherzoso che ormai ha preso piede ma nasconde un significato più profondo: i blogger e i divanari non sono tutti da condannare. E se i professionisti che sostengono questa tesi guardassero ogni tanto oltre lo specchio, forse si potrebbe anche arrivare ad una tregua su una questione che dura da troppo tempo. Nel frattempo, arriva un altro weekend: il popolo di #divanopoli, come sempre, è pronto.

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