Dalle KKK alle Garrett, il mondiale “in fumo” di Alboreto

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
27 Aprile 2017 - 10:23
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Il 1985, nella storia della Formula 1, è un anno ricordato dagli appassionati per tanti avvenimenti successi in pista e fuori. La vittoria del primo mondiale di Alain Prost, il primo successo in Formula 1 di Ayrton Senna sotto il diluvio dell’Estoril, la prima affermazione di Nigel Mansell con la Williams motorizzata Honda, l’esordio della Minardi ma soprattutto il titolo sfiorato da Michele Alboreto con la Ferrari.

In quella stagione di metà anni ’80 la rossa portò in pista la 156-85, spinta da un turbo V6 capace di sprigionare oltre 800cv in gara e 900 in qualifica. Una vettura, disegnata da Harvey Postlethwaite, che aveva il difficile compito di riportare il mondiale piloti a Maranello, cercando di lottare alla pari con la Mclaren-Porsche campione in carica grazie a Niki Lauda.

Prima guida della squadra era Michele Alboreto, supportato come compagno di box prima da René Arnoux e poi, dopo l’appiedamento del pilota transalpino, dallo svedese Stefan Johansson.

Nelle prime otto gare del campionato Alboreto riuscì a conquistare una vittoria (a Montreal, con Johansson secondo), quattro secondi posti, un terzo e due ritiri a Imola e al Castellet. Il passo del pilota italiano fu in grado di tenerlo solo Alain Prost con la sua Mclaren-Porsche, in un duello senza esclusione di colpi.

Si arrivò quindi al GP di Germania sul rinnovato tracciato del Nurburgring, la gara di casa per la Porsche. In quella occasione, molto probabilmente, successe quello che poi avrebbe cambiato definitivamente la stagione a favore di Prost e, soprattutto, a sfavore di Alboreto. Il 27 della Rossa vinse una gara fantastica, l’ultima della sua carriera in Formula 1, grazie anche ad uno splendido sorpasso all’ultima curva sulla Williams di Keke Rosberg.

A Maranello si iniziò a sognare in grande, pensando soprattutto all’accoppiata pilota italiano-Ferrari campione del mondo che mancava dai tempi di Ascari. A Zandvoort tuttavia, due gare dopo quella tedesca, vinse Lauda con Alboreto quarto al traguardo e superato nella classifica generale da Prost, secondo dietro al compagno di team. Fu il preludio al disastro che sarebbe capitato di lì a poco.

Le turbine KKK fornivano sia la Porsche, che spingeva la Mclaren (della quale si occupava anche dello sviluppo del motore), che la Ferrari. Prima del GP d’Italia a Monza, snodo fondamentale per Alboreto nella rincorsa al titolo, a Maranello si decise di passare dalle KKK alle americane Garrett. Sembra che sia stato lo stesso Enzo Ferrari, dubbioso sulla “imparzialità” dell’azienda tedesca nei confronti della sua squadra a favore della Mclaren, a decidere di compiere questo clamoroso “strappo”.

Lo stesso Alboreto, in una intervista di parecchi anni dopo, rivelò: “Le turbine KKK, dopo la vittoria in Germania, inspiegabilmente avevano cominciato a rompersi, ma erano teoricamente le stesse montate sulla McLaren-Porsche. Si fecero esaminare i pezzi ma non si riscontrarono difetti, allora nacque il sospetto che fossero a standard qualitativi inferiori rispetto a quelli forniti alla scuderia di Ron Dennis”. Questo mandò su tutte le furie Enzo Ferrari, che ordinò: “Mettete quei pezzi in una cesta e buttateli via! Adesso telefono io in America e voglio dei pezzi nuovi qui domattina!”.

Quella mossa, così avventata e dettata dall’istinto, portò solo il tanto fumo dei motori Ferrari andati “arrosto” nei successivi GP. Infatti il V6 turbo era stato progettato per le KKK e ridisegnarlo a quel punto della stagione era praticamente impossibile.

 

Una vera e propria disfatta per la Ferrari ma soprattutto per Alboreto, incapace di lottare per il titolo a causa delle tante rotture. Michele chiuse al secondo posto un campionato corso benissimo ma “perso” per colpe non sue. Lo stesso Enzo Ferrari, a fine stagione, disse al fido Franco Gozzi: “A Michele dobbiamo un mondiale”.

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