Dalla parte di Nico, ancora più di prima

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Tempo di lettura: 10 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
3 Dicembre 2016 - 20:30
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Solitamente, quando devo scrivere una bloggata, mi creo in testa una specie di scaletta dell’argomento, in modo da seguire un filo logico.

Ecco, io devo scrivere di quanto successo ieri e sinceramente non so da dove partire. Perché questa settimana era già stata invidiabile dal punto di vista mediatico, ma la bomba di Nico ha aggiunto carne al fuoco in una situazione globale al limite del paradossale prima, e scappata di mano completamente poi.

Perché paradossale? Perché questi giorni mi hanno convinto ancor di più che il rispetto è un valore ormai rovesciato nei suoi esempi, così come quello della famiglia è incredibilmente difficile da comprendere, specialmente se non se ne ha una.

Bernie sosteneva candidamente, poco più di un mese fa, la candidatura di Hamilton come vincitore del titolo 2016. Perché è più mediatico, più figo, più cool in abbinamento ad una F1 tutta Paddock Club e sbrillocchi. Ebbene: la vittoria di Rosberg, il non calcolato, il sub pilota, quello che non doveva vincere, ha prodotto uno scossone mediatico incredibilmente maggiore rispetto a quello che avrebbe provocato il preventivabile tris consecutivo di Lewis, il predestinato simbolo dello Sport. Addirittura i media generalisti si sono sforzati di parlare di F1 (per la solita logica della convenienza) per sottolineare un finale inatteso, oltre che probabilmente non voluto da parte di molti. Non parliamo della notizia del ritiro: se possibile, ha avuto e ha ancora più risalto della vittoria stessa del campionato, perché si tratta di fatto rarissimo. L’ultimo ad annunciare il ritiro in un modo più o meno simile era stato Alain Prost nel 1993. Allora, però, ci si poteva aspettare una decisione simile, con il francese al quarto titolo, con 38 primavere alle spalle e chiuso dall’arrivo di Senna nella successiva stagione in Williams. La similitudine è solo nelle tempistiche, mettiamola così. Vittoria del titolo, annuncio del ritiro. 

La notizia del ritiro di Nico ha prodotto una scissione: da una parte piloti ed ex che, tramite Twitter, hanno reagito con sorpresa sì ma positivamente all’inattesa novità. Dall’altra diversi media, blog, tifosi, che dopo aver roboantemente sostenuto lo scippo del trono più scandaloso della storia per quattro giorni hanno aggiunto l’onta del ritiro per paura della sfida e di essere piallato dal compagno, derubato di un titolo che per molti meritava unicamente per il fatto di essere Lewis Hamilton. Lo stesso Lewis, poi, mostrando un savoir faire da gentiluomo, è stato evidentemente l’unico a dirsi non sorpreso dalla decisione, facendo implicitamente intendere “Capitelo, contro di me non ha mai vinto, evidentemente l’ho sfiancato”, quando la notte prima su Twitter erano comparse parole di elogio nei confronti dell’ormai ex compagno. Giusto per sottolineare, ancora una volta, come i Social siano inutili quando a gestirli non è direttamente la persona interessata.

Ora, a me questa storia del titolo rubato, immeritato, regalato o addirittura indirizzato da parte di Mercedes inizia ad appesantire un attimo gli angoli più nascosti dell’inguine. Sono un po’ stanco di questa pagliacciata sui mondiali morali, meritati o non meritati:  ne ho già parlato nei giorni scorsi, ma ripeto un paio di concetti: se volessimo, potremmo ribaltare la storia di quasi tutti i titoli della storia. Molti tifosi di Lewis, i quali si lamentano del fatto che Nico ha vinto il mondiale con meno vittorie del loro beniamino, dovrebbero tornare con la mente al 2008 e ricontare i successi suoi e di Massa; oppure, invece di indicare l’arrosto di Sepang come l’unico motivo della perdita del mondiale, potrebbero pensare alle partenze fallate, al regalo Red Bull di Montecarlo o quello dei commissari in Messico. Siamo sempre lì: la bilancia è composta da due piatti, ma se ne guardiamo solo uno la sua utilità è nulla.

Rispetto: brutta parola al giorno d’oggi. Forse io sono un caso patologico, ma mi mette in difficoltà notare che riscuote più successo nelle masse un ribelle che, dopo aver vinto un mondiale (2015) lancia un cappellino addosso al compagno e, dopo averne perso uno (2016), gli ricorda di essere un perdente perenne, invece di un ragazzo che ha probabilmente sempre saputo di non essere al livello del più bravo ma ha lavorato duro per riuscire a batterlo, senza mai mancargli di rispetto. Il dettaglio interessante, in questo, è che le origini di Nico e Lewis avrebbero potuto, per logica, portare a comportamenti perfettamente invertiti tra i due. In teoria dovrebbe essere il ragazzo partito da zero, senza soldi, ad avere il dono della sensibilità e del rispetto per gli altri. Non il figlio di papà, ricco dalla nascita, dalle grandi possibilità. Insomma: il ribelle, tra i due, sarebbe potuto essere molto più comprensibilmente (anche se mai giustificabile) Nico. Chi mi legge da tempo, con somma pazienza, sa benissimo che io non approvo determinati comportamenti da parte dei piloti e delle persone in generale. E non potrò mai apprezzare il modo di fare di chi non ha rispetto verso il prossimo, in qualsiasi ambito.

Capitolo famiglia: non capisco, o forse sì, le contestazioni sull’affetto per la famiglia da parte di Nico, quasi come fosse un sacrilegio ritirarsi per dedicarsi ai propri cari. Su questo parto da qualche dato, giusto per argomentare: Rosberg, oltre all’essere pilota capace di vincere il titolo come il padre, condivide con Damon Hill il fatto di essere gli unici piloti, negli ultimi 20 anni, ad aver conquistato l’alloro da sposati e con prole. Infatti, andando indietro nel tempo, alla vittoria del 1° titolo nessuno tra Hamilton (2008), Vettel (2010), Button (2009), Raikkonen (2007), Alonso (2005), Schumacher (1994), Hakkinen (1998), Villeneuve (1997) era coniugato e padre. Damon, già 36enne nel 1996, era sia sposato che papà di tre pargoli.

Altro dato è quello che riguarda età ed anzianità di servizio in F1 al momento della conquista del 1° campionato del mondo: 23 anni per Hamilton (2a stagione) e Vettel (3a completa + metà 2007), 24 per Alonso (4a), 25 per Schumacher (3a + fine 1991), 26 per Villeneuve (2a), 28 per Raikkonen (7a), 29 per Button (10a) e 30 appena compiuti per Hakkinen, alla sua 8a stagione (Mika, tra l’altro, si è ritirato a 33 anni, completamente svuotato, ma non ricordo sfracelli). Rosberg, come sappiamo, è il più anziano tra questi ultimi, con 31 anni e titolo ottenuto alla sua undicesima stagione. Per trovare di peggio, come età, dobbiamo andare appunto a Damon Hill, il quale però era alla sua quarta stagione completa essendo giunto in F1 per parte del 1992 con la Brabham per poi diventare titolare Williams nel 1993. Peggio, in termini di stagioni, ha fatto giusto Nigel Mansell, trionfatore nel 1992 a 39 anni appena compiuti e dopo ben 13 stagioni nella massima serie.

Inserito Nico all’interno di questo quadro, si può comprendere maggiormente il senso della scelta. Resta comunque un pilota che ha corso oltre 200 Gran Premi in una carriera comunque lunga, considerato l’aumento di eventi annuali rispetto al passato. Dopo quattro anni da pilota di seconda fascia in Williams, è approdato in Mercedes nella quale ha corso prima al fianco di Schumacher e poi al fianco di Hamilton. Il confronto con quest’ultimo, amico di lunga data, nuova icona mediatica dell’ambiente oltre che già plurivittorioso (anche perché esordiente su una Mclaren, ricordiamolo), ha probabilmente richiesto a Nico, meno talentuoso per natura ma fortemente improntato al lavoro, uno sforzo probabilmente maggiore rispetto al suo standard per stare al livello del più veloce compagno.

Le delusioni del 2014 e quella per certi versi ancora maggiore del 2015 sono state compensate dal matrimonio due anni fa con Vivian e dalla nascita della piccola Alaϊa l’anno passato. In questo 2016 si è presentata l’opportunità, poi sfruttata con sacrificio e sudore fino all’ultima curva, di cogliere il successo che ogni pilota di Formula 1 sogna. Questo, come ha detto lo stesso Nico, ha necessitato concentrazione totale non solo in lui ma anche in tutta la famiglia, dalla quale forse ha trovato quel briciolo di forza mentale in più per resistere al ritorno di Hamilton nelle ultime gare e a reggere, soprattutto, lo stress dell’ultimo appuntamento, che per noi avrebbe segnato solo la fine del campionato ma, per lui, anche quella della carriera. In questo, l’azione su Verstappen, snobbata dai detrattori, assume ancora maggior peso.

Ripenso a tutto. Alla sua carriera da sconsiderato figlio di papà costretto ad uno sforzo extra: per superare i pregiudizi ereditari degli inizi e per contrapporsi, negli ultimi anni, ad un personaggio globalmente più forte in pista e nei like. Penso agli affetti già radicati al momento del successo. Affetti che ancora per qualcuno, in questo mondo, hanno fortunatamente un valore: solo chi ne ha può capire questo concetto abbastanza fondamentale. All’interno della lettera con cui Nico ha comunicato il suo addio è racchiusa una piccola, meravigliosa, lettera d’amore per sua moglie e sua figlia. Gesto estremo e rarissimo in questo ambiente. Penso al fatto che Nico abbia una coscienza di sé e delle sue possibilità ben oltre la media, da persona intelligente e rispettosa quale si è sempre dimostrata dal 2006. Chiudo il cerchio e dico che, per quanto la notizia sia arrivata totalmente inaspettata, Nico ha fatto bene. Ha corso, ha lottato andando oltre le sue possibilità, ha messo da parte affetti e famiglia che altri ai loro tempi non avevano per raggiungere l’obiettivo di una vita. 

[Apro parentesi: appena dopo la vittoria del titolo, si ironizzava sul fatto che la Germania avesse un campione tedesco su macchina tedesca senza, però, avere un Gran Premio. Bene, ora non ci sarà nemmeno il campione in pista, oltre al fatto che il team Mercedes è tedesco di nome ma inglese nei fatti. Chiusa parentesi.]

Non abbiamo diritto di contestare ai limiti dell’offesa e non rispettare le scelte altrui. Possiamo solo prenderne atto. Chi denuncia l’assenza di testicoli a questo ragazzo per legittimare ancora di più un titolo morale che non avrà mai e poi mai il suo nome nell’Albo d’oro della Formula 1, dovrebbe ricordare che Nico rinuncia ad altri due anni di contratto plurimilionari (e siamo tutti bravi a rifiutare diversi zeri sul conto con il sedere altrui), ad una vettura stellare che forse gli avrebbe permesso, anche senza bissare il titolo, di gonfiare ancora di più il palmares: magari alla casella Montecarlo già spuntata, da questo indegno scarsone come continuo a leggere, tre volte. È più coraggioso rinunciare alla popolarità e godersi gli affetti di una moglie e una figlia o continuare dopo aver raggiunto la propria cima, con la consapevolezza di non poter salire ancora di più rubando a loro altro tempo? Beh, a giudicare dalle reazioni dei colleghi di Nico, coloro che vivono la stessa storia, direi la prima. 

Poi il web, i media, i divanisti quali siamo tutti noi non piloti, pontificatori compresi, avranno sempre modo di dire la loro, di sostenere che ha paura di Hamilton, che non meritava, che di qua, che di là. Ma la mancanza di rispetto che ho letto in questa settimana su questa vicenda ha un che di preoccupante, per non utilizzare un aggettivo ben meno consono a questo post.

Nico Rosberg è il campione del mondo 2016. Ha conquistato il suo titolo senza rubare nulla a nessuno ma usando la testa là dove non ci arrivava il talento. È, ora, un ex pilota di Formula 1. 

Soprattutto, è ora di smetterla di fare gli isterici e, una buona volta, mostrarsi rispettosi e non ultras incalliti.

Guardate la foto di copertina e dategli torto, se ce la fate. Chapeau, Nico: goditi la tua meravigliosa famiglia, te che sai cosa vuol dire averne una.

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