Dalla F2004 alla SF90 è un attimo…

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Tempo di lettura: 2 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
27 Luglio 2019 - 17:00
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Come nel peggiore degli incubi la Ferrari si trova dal comandare tre sessioni di prove libere all’essere cecchinata clamorosamente da due guasti tecnici, magari di poco conto, che sbattono Leclerc e Vettel rispettivamente a centro e fondo griglia. 

Il tutto mentre la Mercedes, una volta tanto che poteva essere messa in difficoltà, si porta a casa un’altra pole facile servita su un piatto d’argento, che aiuta a festeggiare al meglio il 125° anniversario. Parentesi personale: avessero presentato tutta la W10 in colore bianco opaco old style, avrebbero vinto la coppa per la miglior livrea degli ultimi dieci anni. Peccato.

Come se non bastasse il risultato della qualifica a rigirare il coltello nella ferita, in modo davvero sadico, ci si mette anche l’occasione di riportare in pista dopo quindici anni la regina F2004 per qualche demo lap davanti al pubblico di Hockenheim con il piccolo Schumi al volante. Come passare, in un paio d’ore, dal 2004 al 2019 con tutte le differenze del caso: quelle della Formula 1 di oggi ed allora, così come quelle della stessa Ferrari. 

Ed è proprio nel confronto riproposto occasionalmente che la qualifica di oggi assume i contorni del disastro completo. Una F2004 che dominava, strillava, gestiva e vinceva alla stragrande contro una SF90 che, dopo oltre metà campionato, non ha portato a casa ancora un successo. Una monoposto che incuteva timore contro una che fatica anche contro la Red Bull motorizzata Honda. Una regina contro un’aspirante lottatrice che, oltre a non reggere il passo della dominatrice attuale, incappa anche in problemi tecnici al giorno d’oggi ancora più imperdonabili rispetto a quindici anni fa. 

Tre lustri racchiusi in due ore che accentuano i problemi odierni. Problemi che, per quanto mi riguarda, non hanno un fattore dominante. Non sono una volta i piloti, una volta la macchina, una volta il tempo, il muretto o il fato da indicare come colpevoli di una situazione simile. Si chiama team per un motivo: tutti lavorano insieme e, affinché si arrivi al successo, ogni singolo ingranaggio del meccanismo deve essere collaudato, allineato, affiatato, coerente con gli altri.

Si vince insieme e si perde insieme. Per convenzione e comodità si punta il dito contro ciò che si vede ma, per me, qui il tutto nasce da molto più lontano. Dell’iceberg, d’altronde, si vede sempre e solo la punta.

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