Crisi d’identità (parte 2)

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 7 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
22 Marzo 2018 - 18:00

Credo che a qualcuno lassù non sia andato giù (giusto per fare il gioco di parole) il mio articolo di un paio di giorni fa su Jorge Lorenzo e sulla crisi d’identità che lo sta affliggendo pesantemente da più di un anno. Infatti, neanche ventiquattro ore che, durante la mia gita in motorino per lavoro, mi sono schiantato scorticandomi una mano e il ginocchio. Capisco che ci ero andato giù pesante, ma una punizione un po’ più “mite” no? Giusto per fare una piccola parentesi su questa mia esperienza, fare un incidente in moto, e in generale stradale, ti fa cambiare molto prospettiva su certe cose, come successo a me ieri. Soprattutto in tema sicurezza e salute, da conservare anche quando si fa un lavoro del genere. E’ una mia grave colpa aver imparato una lezione simile solo ora, ma almeno è un bene che non sia successo anche di peggio in quell’incidente… giusto una raccomandazione a tutti coloro che viaggiano sulle due ruote durante il giorno.

Sta di fatto che, a causa del mio problema, l’articolo #2 sulle crisi d’identità di due piloti che vi avevo promesso è arrivato con un giorno di ritardo. Spero possiate capire e che mi scusiate… ma in fondo, una promessa è una promessa. E quindi cominciamo.

Chi sarà il secondo “solito sospetto” che andremo ad analizzare oggi? Beh… lo sapete già perché avrete visto l’immagine di copertina ma fate finta che ci sia del finto pathos nell’aria, ok? Bene, il secondo pilota, anch’egli spagnolo, a mio parere in crisi nel Motomondiale attualmente è Maverick Viñales. Il piccolo prodigio ventitreenne della Yamaha, e che continuerà al fianco di Rossi sulla M1 almeno fino al 2020.
Eppure, nonostante le grandi speranze che tutti, tra cui anche me, ripongono in lui per tenere alta la bandiera della Casa di Iwata, lo spagnolo dopo già un anno pare in difficoltà.

Quali difficoltà però? Sono svariate: l’adattamento fulmineo alla Yamaha 2016 nei test di fine stagione aveva presagito che “Top Gun” fosse già in procinto di puntare al bersaglio grosso alla sua terza stagione in MotoGP e alla prima con una moto di punta come la Yamaha. E l’inizio del campionato, ammettiamolo, non sembrava lasciare dubbi: ok Márquez ancora in difficoltà con la sua Honda a inizio 2017, ok Rossi e Lorenzo non proprio al massimo dell’affinità con le rispettive moto, ma il #25 fino al Mugello pareva davvero il mattatore della situazione. Due vittorie di tutto rispetto nei primi due round in Qatar e Argentina, e 105 punti raccolti nelle prime sei gare; bottino mica da ridere, specie considerando l’erroraccio in Texas dovuto a una caduta al secondo giro nel tentativo d’inseguire le Honda.

Eppure, queste premesse vittoriose cominciano ad affondare a velocità paurosa già da Barcellona, dove Maverick conclude mesto in 10a posizione davanti al suo pubblico di casa. In casa Yamaha cominciano a suonare diversi campanelli d’allarme riguardanti la M1 2017: col freddo la moto pare un razzo, ma con l’innalzamento delle temperature scattano i problemi sulle gomme, che oltre a non esser performanti non tengono nemmeno per tutta la loro durata. Assen sembra l’occasione giusta per rifarsi, ma anche qui ci scappa l’imprevisto per Maverick che sbaglia il cambio di direzione nella chicane finale della pista olandese, rischiando pure l’osso del collo con Dovizioso che è costretto a sfiorarlo per una questione di millimetri.
Passano così quattro gare (Barcellona, Assen, Sachsenring, Brno) nel quale il ragazzo di Figueres rimedia solo un terzo e un quarto posto.

Le speranze titolate della Yamaha e di entrambi i suoi piloti affondano miseramente durante l’estate, con l’unico piccolo barlume di speranza dato dal motore in fumo del campione del mondo a Silverstone. La moto, nelle mani di Viñales, pare una lontana e scadente parente della prima versione usata a Losail, ed è in questo punto del campionato che il #25 comincia a cambiare atteggiamento.

La frustrazione e il senso d’impotenza spesso sembrano rivali insormontabili, ma una delle qualità di un “predestinato”, come quelli che decantiamo nel mondo del motorsport, è quella di saper affrontare a testa alta tali problemi, e uscirne magari più forti di prima. Non è stato il caso di Maverick sul finire del 2017: la moto pare un disastro su qualsiasi pista e condizione oramai, e in particolare sul bagnato che per Rossi e Maverick si trasforma più in fango appiccicoso nel quale annaspare; l’unica soddisfazione la dà, in parte, Phillip Island nella quale Rossi e Viñales fanno rispettivamente secondo e terzo. Altra dimostrazione però di come, anche rispetto al più blasonato compagno italiano, lo spagnolo paia ora faticare quando a inizio stagione dettava lui legge. L’ultimo straziante round di Valencia ne dà una prova concreta, con Rossi che conclude nella top five e Viñales solo 12°.

I test per la Yamaha sono altalenanti a dir poco: la M1 2018 pare migliorata rispetto al modello precedente, ma soffre ancora sulle gomme. Viñales passa dalla gioia di Sepang alla disperazione di Buriram e alle perplessità di Losail, ma le nove giornate sono spesso accomunate tutte quante da una sola frase dello spagnolo ai microfoni dei media, manco fosse l’hashtag del momento: “Vorrei riavere la moto che ho guidato all’inizio dell’anno scorso.”

Forse starò esagerando ma credo che un pilota debba dare ai suoi tecnici dei consigli anche un tantinello più precisi se è intenzionato a giocarsi un mondiale per la stagione a venire. Ok, queste erano semplici interviste e non sappiamo che cosa abbia detto ai propri uomini Yamaha per dare una direzione precisa alla moto, ma queste parole secondo me sono anche lo specchio su cui si riflette l’immagine di Viñales… un pilota quasi “viziato”. Uno velocissimo ma che, avendo iniziato divinamente la sua avventura, vorrebbe tornare nella stessa medesima situazione con cui era partito, costi quel che costi, con la “sua” moto.

Sembra quasi che si stia “Lorenzizzando” in una certa maniera: per poter vincere ha bisogno che tutto giri perfettamente, senza ostacoli o problemi durante il weekend per tutta la sua durata, altrimenti non c’è nulla da fare. Ma queste non sono doti da campionissimo a mio modo di vedere… piloti come Márquez spremono qualsiasi cosa fornisca la moto a propria disposizione, anche a costo di guidare con rischi pazzeschi o stili di guida altrettanto rocamboleschi. Persino Valentino, su una moto completamente fuori dai suoi schemi l’anno scorso, è riuscito a combattere per vincere al primo round qatariano.

Viñales comunque ha una situazione ben diversa attorno a sé, rispetto a Lorenzo: è vero, arrivare solo sesto in una gara vinta di forza l’anno prima non è un inizio esaltante, come arrivare dietro al compagno, ma ha quanto meno mostrato segnali positivi di approccio alla moto sul finale di gara. Inoltre, ha un rinnovo contrattuale già in tasca e un compagno da cui ha molto, tutto da imparare. Lorenzo, al contrario, oltre ad aver deluso le aspettative molto più del giovane connazionale sta continuando a prendere batoste su batoste ed è alla scadenza del proprio contratto biennale.

Forse, quando anche questo problema all’elettronica Yamaha verrà risolto, per “Top Gun” tutto tornerà a girare come un orologio, ma il mondo delle corse spesso ci ha insegnato che 2+2 non fa sempre 4; non basta mettere un pilota veloce su una moto altrettanto buona per assicurarsi buoni risultati, così come è vero che una stagione non è finita fino a quando la matematica concede ancora chance ad altri candidati per vincere. E anche per Maverick questo vale: le possibilità per rifarsi sono lì, a portata di mano. Basta solo allungarla ancora un pochino, per raggiungerle.

Fonte immagine: motogp.com

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