Conversione reloaded. Sebastian da miracolato in blu a fenomeno in rosso

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
3 Dicembre 2014 - 17:30
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Dopo questi primi giorni di Sebastian Vettel in rosso, il tentativo di conversione è già partito a ritmi serrati. Vettel velocissimo, Vettel più veloce di Alonso, Vettel di qua, Vettel di là.

Il nuovo Vettel nasce sulla stessa vettura, la F2012, contro la quale il quattro volte mondiale ha portato a casa il suo penultimo alloro, quello di due anni fa con la rimonta in Brasile, sul bagnato, dopo ciocco al primo giro dal quale è miracolosamente uscito illeso.

Il termine miracolato, associato ai suoi sinonimi fortunato e il più acceso ‘paraculato’, è stato spesso affiancato alla figura di Sebastian nei suoi anni in Red Bull. Di fatto, i suoi quattro titoli sono stati sempre messi in discussione a causa dell’eccessiva competitività delle monoposto da lui guidate, dalla RB6 alla RB9. Per tanti, molti, Sebastian ha esclusivamente tratto vantaggio dal guidare vetture irraggiungibili: da qui ecco il motivo dei quattro successi consecutivi per lui e per il team.

Quest’anno, poi, almeno fino a quando non è stato svelato il segreto di Pulcinella, ovvero il suo arrivo in Ferrari, è stato letteralmente massacrato per esser stato messo in ombra dal rampante Ricciardo. La frase tipica che ho sentito e letto in giro diceva, più o meno, “ecco, ora che c’è un pilota serio e non un pensionato (Webber..) si vede il vero valore di Vettel”.

La figura del Vettel 2009/2014 (prima metà) è quella di un buon pilota ma nulla più, fortunato nella circostanza di aver avuto a disposizione la monoposto migliore con la quale poter vincere in scioltezza i suoi mondiali.

Dopo due giorni di foto e video in rosso, Sebastian si è trasformato incredibilmente nel futuro salvatore della patria. Potere del colore? Potere della Ferrari? Potere dei poteri? Non lo so. E’ però personalmente stucchevole assistere ad un tale tentativo di conversione delle masse da parte di chi si è prodigato negli ultimi anni a smontare sistematicamente il nemico.

Non si è nuovi, certo, a scene del genere. Lo stesso atteggiamento è stato riservato ad Alonso al suo approdo in rosso e, al contrario, a chi il rosso l’ha lasciato. Ricorderete senza dubbio frasi e illazioni sulla vecchiaia dello Schumacher in grigio, del suo tradimento nei confronti della Ferrari. Ricorderete anche frasi e battute sul Raikkonen prima maniera, quello che non parlava, non faceva, non diceva. Nonostante sia stato, e sia attualmente, l’ultimo pilota ad aver portato un titolo piloti a Maranello.

Anche gli ultimi mesi dell’Alonso rosso sono stati tormentati, mediaticamente parlando. Ho letto critiche e polemiche sul suo modo di rapportarsi con la squadra, sui social e quant’altro. Voglio dire, l’Alonso fuori vettura lo si conosce, è bene o male sempre stato così. Sottolinearne certi aspetti proprio sul finire della sua avventura in Ferrari fa parte del gioco, quello del detronizzare chi sta lasciando per pulire tutto e preparare il terreno per il nuovo prediletto. Ed è atteggiamento che non sopporto. Sebbene io non abbia mai apprezzato il Fernando che non guida, lo trovi spesso fuori luogo e troppo ‘politico’, non mancherò nei prossimi mesi di prendere le difese dello spagnolo ogni qual volta qualcuno gli muoverà critiche mai espresse in precedenza.

Sono sempre per la linea della coerenza. Di Vettel, di Alonso, di chiunque, ho sempre avuto un’idea precisa indipendentemente dal colore della casacca. Così come capisco sempre più, negli anni, che non bisogna lasciarsi troppo influenzare da chi vuole imporci un’idea per moda o convenienza. Preferisco sbagliare da solo che per un consiglio.

Su Sebastian vorrei fare un’altra considerazione, estranea al discorso principale. Le attese nei suoi confronti sono altissime. Perché, bene o male, si è sempre saputo che prima o poi avrebbe messo piede a Maranello, già dai tempi della Toro Rosso. Per la vicinanza morale con Schumi, del quale tanti dicono che sarà erede. Ecco, questo è il boomerang dal quale dovrà difendersi Sebastian, quello del dover dimostrare di essere all’altezza di chi l’ha preceduto in passato. Se saprà portare avanti una sua identità, se saprà lavorare unito con la squadra cercando di aiutare a risolvere le evidenti difficoltà dell’attuale Ferrari, potrà dare il meglio di sé. Se sarà ogni volta messo a confronto, come già succede, con il suo mentore, la responsabilità sulle spalle sarà doppia. Se riuscirà anche in minima parte a ripetere quello che Michael ha fatto, sarà già un successo. Ma non gli si chiedano i miracoli, perché quelli non si fanno da soli. Ci vuole anche una squadra unita e all’altezza, soprattutto di questi tempi.

Quello che per ora abbiamo è un ragazzo che mi è parso entusiasta della sua nuova avventura. Roba che la leggi negli occhi, oltre che nella scritta sul casco. Deve essere lasciato tranquillo, in negativo e in positivo. Il piedistallo adesso non serve. Nè a lui, nè a noi.

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