Chi perde rischiando vince comunque, sempre

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
20 Maggio 2019 - 02:04
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“Fernando Alonso non si qualifica per la 500 miglia di Indianapolis”. Tecnicamente vero e, per certi versi, inappellabile. Ma, allo stesso tempo, quanto di più falso si possa sostenere. Perché mai come questa volta sarebbe giusto scrivere “La McLaren non si qualifica per la 500 miglia di Indianapolis”, sollevando dalle responsabilità il pilota.

Per il team di Woking si tratta dell’ennesimo fallimento, in un lustro che l’ha visto prima sprofondare in F1 portando con sé l’uomo che doveva rappresentarne il ritorno alla vittoria e, ora, mettere a referto una figura magrissima negli States, nonostante la presenza al volante di un campione come Fernando. 

Proprio su di lui mi voglio soffermare. Se quanto successo due anni fa, con il ritiro ad una ventina di giri dal termine grazie al motore Honda (e quale, se no?), poteva essere catalogato come un incidente di percorso, sarà più difficile digerire l’amarezza per un’occasione neanche vissuta come questa; mesi di lavoro buttati e quella Triple Crown che si allontana almeno di un anno.

Quello che rimane degno di nota, a mio modo di vedere, è la quantità di palle messe sulla Dallara per affrontare l’ultimo run, quello decisivo. Dopo giorni in preda al panico ed una macchina costantemente oltre i limiti dell’inguidabilità, McLaren si è abbassata addirittura a chiedere aiuto agli avversari per poter in qualche modo agevolare gli ultimi quattro giri di Fernando. La disperazione porta anche a questo. L’aiuto, arrivato da Andretti e Penske, ha offerto una chance allo spagnolo per il suo ultimo colpo.

Ed è proprio qui che bisogna togliersi il cappello: perché prendere in mano una monoposto stravolta nell’assetto, scendere in pista senza un minimo di prove e lanciarsi in quattro giri oltre i 365 km/h di media oraria è roba da palle cubiche. Due giri di lancio per capire in qualche modo la macchina e poi via con il fiato sospeso, con gli aiuti che hanno comunque portato la #66 a girare con meno incertezze. 

Tredici millesimi in quattro giri o, per meglio dire, in 16 chilometri e 93 metri sono davvero un nulla, ma il Motorsport gira così: nello spazio di pochi centimetri passano vittoria e sconfitta, gioia e dolore. L’importante, in questi casi, è saper definire con giudizio le colpe di questo fallimento. L’esperienza del 2017 che tutti ben ricordiamo è utile a capire quanto McLaren si sia presentata a questo appuntamento senza la necessaria preparazione e competenza. L’incidente del mercoledì di Fernando, se possibile, ha portato ancora più confusione ma non può essere una giustificazione per questa mancata qualificazione. D’altronde ci sono team ben meno blasonati che, tra una settimana, sfileranno in griglia di partenza dopo incidenti della stessa portata, se non peggiori. 

Ai tempi da tifoso, ormai sempre più lontani, Fernando in casa era il nemico numero uno. Iniziando a scrivere l’ho criticato per diversi suoi comportamenti senza, però, dubitare delle qualità al volante, sfociate poi nelle vittorie extra F1 che conosciamo bene. Imputare in qualche modo a lui il fallimento McLaren è roba da sensazionalismo, perché per discutere l’Alonso pilota ci vuole un bel coraggio soprattutto dopo il run di questa sera, con un rischio assurdo che poteva premiare come mandare al muro. Un all-in di quelli tosti. È andata male, ma chi perde rischiando merita comunque rispetto, soprattutto quando si giudica comodi sulla sedia.

A pensarci bene la presenza di Fernando è un’aggravante proprio per il team di Woking, che esce distrutto da Indianpolis. Quindi, rivedendo la frase con cui ho aperto, la correzione migliore diventa “La McLaren non si qualifica per la 500 miglia di Indianapolis. Nonostante Fernando Alonso”. 

Lui ci riproverà: deve farlo. Ma, forse, è meglio affidarsi ad un nome sicuro. Non ne mancano, così come il tempo. Quello è ancora ampiamente dalla sua parte.

Immagine Indycar

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