Bentornato Robert, ma ora sarà dura: la F1 non perdona

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
23 Novembre 2018 - 01:00
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L’operazione che ha riportato Robert Kubica in Formula 1 dopo oltre otto anni di assenza è la classica medaglia dai due volti totalmente opposti. Due facce che raccontano storie e scenari diversi con tifosi, addetti ai lavori e semplici appassionati che devono scegliere tra una e l’altra.

È indubbio che quella di Robert sia una storia d’altri tempi, un cerchio che dopo tanto tempo si chiude con il raggiungimento dell’obiettivo che, probabilmente, è sempre stato sin dall’inizio il chiodo fisso del polacco. Il ritorno in Formula 1, tra passaggi con i Rally e test vari con diverse categorie, è stato sempre e comunque il punto fisso, il motivo della reazione d’orgoglio e della battaglia condotta in tutto questo tempo. Sin dai primi giorni del terribile incidente di Andora ci è stata raccontata la forza di volontà di questo ragazzo che non si è mai lasciato abbattere e che ha fatto di tutto per compensare i limiti fisici che, ancora adesso, lo condizionano. Insomma, sotto il punto di vista della tenacia e della perseveranza nulla può essere imputato al polacco. Questo, però, è il lato emozionale, a tratti commovente che in queste ore tutti sottolineano con enfasi, soprattutto tra i media che hanno seguito da vicino il progressivo ritorno di Kubica nel mondo che ha dovuto suo malgrado abbandonare nel 2011.

Le belle parole, però, in Formula 1 servono fino ad un certo punto. Perché alla fine dei festeggiamenti per una notizia che ha sconvolto in positivo ci sarà da fare i conti con la realtà dei fatti, con il dover guidare, portare risultati, dimostrare di meritare un posto tanto sudato. Ovvero, l’altra faccia della medaglia che per ora si nasconde forse anche volontariamente.

La sfida che dovrà affrontare Kubica da Melbourne 2019 in poi sarà di una difficoltà allucinante. Tra le monoposto del 2010 e quelle del 2019 ci saranno tre salti generazionali: vetture ibride (2014), allargate e con gomme maggiorate (2017) e modificate nelle ali (2019). Ai tempi dei ritorni di Raikkonen (2012, due stagioni out) e Schumacher (2010, tre stagioni) si ebbero grossi dubbi sul fatto che potessero ritrovare la competitività. Qui parliamo di otto stagioni di assenza e credo sia importante sottolinearlo, soprattutto in un’era in cui non si testa nulla se non al simulatore che, per quanto avanzato, non potrà mai e poi mai sostituire in toto la pista. 

Il polacco prenderà il posto di Sirotkin sulla Williams più scarsa della sua onorata storia: si tratta di un team in totale sbando, con una monoposto 2018 inguidabile e nelle mani di due piloti inesperti come il russo, tra l’altro debuttante, e Stroll che capita l’antifona scapperà verso l’ormai sua Force India, pensando (ingenuamente?) che basti cambiare team per fare meglio. Per Kubica non si tratta della situazione più rosea per un rientro. Nelle difficoltà, poi, c’è da ricordare che al suo fianco troverà colui che, con grande probabilità, in questi giorni vincerà il campionato di Formula 2, il pupillo Mercedes George Russell. Uno che, scemo scemo, ha sconfitto il predestinato Lando Norris. 

Un anno fa di questi tempi montava l’indignazione per la scelta della Williams di puntare su Sergey Sirotkin al posto proprio di Robert Kubica. Sommossa popolare al grido di “i soldi vincono sempre” e poi che succede? Che il ritorno di Robert è stato favorito proprio dagli sponsor, un elemento che un anno fa ha aiutato il russo e che ora, viste le condizioni del team, ha alzato bandiera bianca. Qualcuno, a questo punto, potrebbe chiedersi perché non ci si indigna per un Ocon che resta a piedi dopo aver dimostrato ampiamente di poter stare in Formula 1. Quale altro team avrebbe puntato su un Kubica fermo da otto stagioni, con diversi sedili a disposizione fino a poche settimane fa? Probabilmente nessuno. Perché è facile essere tutti contenti del suo ritorno ma, alla fine, l’opportunità è arrivata dal fondo della griglia, lui è stato tenace, aiutato e l’ha colta giustamente al volo. 

Ora dipende tutto da Robert e credo, da quello che ho sentito, che il più esigente con se stesso sia proprio lui, altro grande segno di maturità. Continuo ad avere alcuni dubbi sulla sua tenuta in gara con le limitazioni che ha al braccio ed alla mano destra che, di fatto, non usa. Sappiamo come gestirà il cambio, con le palette per up e downshift sulla sinistra, ma non ho idea di come potrà agire sui duecento assurdi manettini che popolano il volante.

Sono tutti tasselli di un mosaico che si andrà a ricomporre e che lo porterà a Melbourne per l’inizio della prossima stagione. E da lì tutte le belle parole di questi giorni, a tratti anche abbastanza accomodanti, saranno solo un ricordo. Ci saranno Russell ed il cronometro da battere e lì non si scapperà.

Non ho idea di chi sarà il Robert Kubica del 2019: non ho la certezza di dire che sarà forte come quello del 2010 e che sicuramente grazie a lui la Williams risalirà la china. Così come non ho la sicurezza che andrà peggio di come tutti si aspettano e dipingono questo ritorno. Ho solo dei dubbi che sarà lui stesso a dover sciogliere da marzo in poi.

Indipendentemente da come andrà, però, c’è qualcosa di certo: la stima, l’ammirazione, il rispetto per essere riuscito a centrare il suo obiettivo, tornare nel suo mondo. Questo non glielo può negare nessuno.

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