Albe e tramonti

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 6 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
4 Novembre 2018 - 20:15

Emblematiche le due immagini che il Gran Premio della Malesia ci ha consegnato, in Moto2 prima e in MotoGP poi. Da una parte un’Italia che, dopo il successo dello scorso anno di Franco Morbidelli, (ri)vince nella classe di mezzo, stavolta con Francesco Bagnaia che potrebbe essere uno dei fenomeni più forti arrivati dalla classe nata nel 2010. Dall’altra Valentino Rossi, capo dell’Academy che Bagnaia rappresenta, che nella classe regina cade mentre è al comando della corsa inseguito dal presente e dal futuro della MotoGP, quel Marc Márquez che sembra non sbagliarne una quest’anno. Nove vittorie su diciassette partenze sono l’emblema di cosa il 2018 sia stato per lui, in barba alla Ducati che è stata la miglior moto, a Dovizioso, a Lorenzo e alla Yamaha stessa.

Parto con Bagnaia. Nonostante sia un mio coetaneo e venga dalla stessa città in cui sono nato, a vederlo lì davanti al mondo intero a conquistare il suo primo (e chissà, forse nemmeno l’ultimo) titolo mondiale mi è quasi venuto un complesso d’inferiorità. A ventun’anni io sono qui a scrivere per questo sito e a raccontare delle sue gesta strepitose, che sono convinto non siano finite qui. A livello di talento credo lui sia il terzo pilota più forte arrivato dalla Moto2 dopo Márquez e Zarco e, dopo una stagione da rookie ottima come il 2017, tutto è girato per il verso giusto quest’anno. Come detto da Rossi, quando c’è stato da vincere dominando l’ha fatto, e quando c’è stato da fare a spallate anche. E’ l’alba di un potenziale fenomeno.

Oltre al confronto con Morbidelli, c’è naturalmente chi ha pensato al fatto che dieci anni fa, proprio qui, Marco Simoncelli conquistò il suo titolo iridato 250cc, con il vento tra i capelli riccioluti in sella alla sua Gilera. Personalmente, cerco di allontanare il più possibile il ricordo del Sic in un momento come questo: a parte forse proprio per i capelli ricci e la vicinanza con Valentino, Pecco e Marco sono quanto di più distante ci possa essere tra un pilota e l’altro, ma anche tra una persona e l’altra. Sarà che sono nato a Venaria Reale, che è appunto mio coetaneo, ma era da tempo che non ero così felice nel vedere un successo iridato di un pilota che adoro, ben più di quanto lo fossi per Simoncelli ai tempi.

Nella giornata perfetta per la squadra coi colori del “Dottore” è proprio Rossi a mancare all’appuntamento decisivo nella gara della MotoGP. Una partenza fulminante, un ritmo martellante sin da subito e un Márquez all’inseguimento dalla settima casella dopo la penalità di ieri, nessun Dovizioso, Lorenzo o Viñales a inserirsi nella lotta tra il passato, e a tratti il presente, della classe regina e il presente e futuro del campionato a due ruote. Sembra quasi la gara del 2014 a parti invertite, tutti pregustano già la battaglia serrata, proprio sul luogo dello sgarbo di tre anni fa, ma la differenza cruciale col 2014 è la caduta di Rossi. Perdita di posteriore in curva 1, seguito poco dopo dall’anteriore e addio sogni di gloria. Vale riprende la moto quantomeno per terminare il Gran Premio, ma il 18° posto finale non fa altro che aumentare il rammarico per una gara che poteva essere qualcosa e che invece è terminata in qualcos’altro. Il pubblico in fondo a curva 1 festeggia coi bandieroni la gara fatta dal 46, ma ciò non rimedia minimamente all’errore fatto.

Quella caduta al comando sembra quasi lo specchio del Motomondiale attuale, un doppio passaggio di consegne. Uno al suo acerrimo rivale, uno dei tanti che Rossi ha avuto, Marc Márquez che sta sempre più scolpendo le lettere del suo nome nella leggenda, una storia di un fenomeno che non è nemmeno arrivata a metà delle pagine secondo me. Gli anni migliori di Rossi, parlando obiettivamente, sono passati, è rarissimo vedere quelle magie che lo contraddistinguevano etichettandolo come fenomeno assoluto, cose come Donington 2005 o Assen 2007 per intenderci. E con quest’affermazione non intendo aggregarmi ai suoi detrattori più accaniti dicendo “è bollito”, anzi. Terminare potenzialmente terzo nel mondiale è tutto fuorché da bolliti, considerando anche le difficoltà della Yamaha. Volete un esempio di pilota alla frutta e bollito in MotoGP oggi? Mi duole dirlo ma scorrete alla voce “Pedrosa”. Quello di Rossi è invece come un tramonto lento ma stupendo da vedere, dove i raggi del sole sono ancora forti ma che diminuiscono mano a mano che la stella svanisce all’orizzonte.

Il secondo passaggio del testimone è proprio con Bagnaia, e più generalmente con quella generazione di azzurri che stanno crescendo proprio grazie all’Academy rappresentate dal torinese (secondo me il talento in arrivo più forte che abbiamo). Anche se il giovane e il vecchio correranno insieme e incroceranno le proprie armi la prossima stagione, i due si confronteranno con precisi intenti, opposti ma allo stesso tempo intrecciati in qualche modo. Uno, Valentino, correrà per dimostrare come il suo amore per questo sport superi le critiche nei suoi confronti, ma anche per dimostrare a se stesso che i migliori non solo li può raggiungere, ma anche battere; l’altro, Pecco, partirà da zero su una moto di medio livello da cui non dovrebbe tirar fuori conigli dal cilindro, ma è proprio in queste situazioni che il talento emerge, dalle difficoltà.
Uno, il quasi quarantenne, non avrebbe più nulla da dimostrare ma lo fa perché ha ancora qualcosa da provare a sé stesso. L’altro, il ’97, ha tutto da guadagnare dalla prossima stagione ma anche tutto da perdere se si bruciasse in poco tempo.

Da tifoso Ducati sono contento che Pecco correrà su una delle moto bolognesi, seppur la GP18 privata Pramac, ma confido che quel misero anno di contratto a Petrucci sia appunto per valutare di far salire immediatamente Pecco sulla ufficiale nel giro di un solo anno. Sarebbe quasi un sogno che si avvera per me, una coppia Dovizioso-Bagnaia che al solo pensiero mi stuzzicherebbe non poco.

Ma per il momento meglio volare basso… un po’ come nello stile del #42.

Fonte immagine: motogp.com

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