Il pilota che ho sempre amato

BlogMotorcronico
Tempo di lettura: 4 minuti
di Samuele Prosino
17 Gennaio 2018 - 15:00
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Premessa: questo post apre un nuovo Blog di Passione a 300 all’ora. Dopo la chiacchierata pubblicata settimana scorsa sono felice di aver in qualche modo convinto (ma lui lo saprà?!) Samuele Prosino a fare questo passo.

Ho sempre letto i suoi scritti con piacere e con lo stesso piacere inauguriamo questo spazio, nel quale Samuele potrà raccontare la sua visione del mondo dei motori, alla sua maniera. Già da questo primo post potrete capire che l’acquisto è ottimo, e spero che anche per lui costituisca uno stimolo per riprendere con qualcosa che sa fare bene.

In bocca al lupo a lui e buona lettura a voi!

Alessandro

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Quello che vedete guidare nella foto, accanto al mio nome, era un pilota che si chiamava Bryan Clauson.

Uso il passato perché Bryan è morto, in pista, nel 2016.

Per me fu una giornata difficile. Avevo avuto il piacere di intervistarlo, via mail, per il mio blog pilotiemotori. Fu molto gentile, considerando che lui era un pilota altamente rispettato negli Stati Uniti e io un blogger totalmente sconosciuto e per giunta italiano. Rispose a tutte le mie domande con estrema precisione e io ne fui felice, perché per me lui incarnava ciò che nel motorsport mancava da tempo: il coraggio di fare qualcosa di nuovo.

Bryan Clauson stava seguendo un obiettivo che alle nostre latitudini forse non ha molto senso, visto che siamo abituati a vivere di F1 e di MotoGP. Per molti italiani esistono solamente quelle due categorie, e poco importa degli eroi che corrono altrove. L’obiettivo di Bryan era invece di correre 200 gare in un anno, dividendole tra dirt track e un evento che da solo occupava un mese intero: la 500 miglia di Indianapolis.

Fino ad agosto tutto procedeva per il meglio: Bryan aveva corso la 500 miglia, per altro rimanendo in testa seppur per pochi minuti. E poi aveva già disputato moltissime gare sugli sterrati statunitensi. Ora non ha più importanza, ma ne vinse molte, moltissime.

L’incidente non gli lasciò scampo. Non lo vidi in diretta, ma appena saputo della tragedia mi ammutolii per ore. Non mi era mai capitato, e dire che avevo perso (come molti appassionati) tanti mitici eroi della mia infanzia e adolescenza motoristica: Senna, Greg Moore, Justin Wilson, Dan Wheldon, Sean Edwards, Marco Simoncelli.

Perché lo amavo? Perché correre duecento gare all’anno significa mettersi alla prova. Mettersi alla prova davvero. Per lo stesso motivo sto apprezzando molto i tentativi di Fernando Alonso di vincere gare altrove mentre ha un contratto in F1. E sono stato felice quando Hulkenberg ha vinto la 24 Ore di Le Mans.

Seguo l’automobilismo sin da quando ero molto piccolo, e non ho oggettivamente visto nulla che potesse avvicinarsi alle avventure dei piloti che hanno corso prima degli anni ’80. Piloti che saltavano da una macchina a un’altra, da un campionato a un altro. Senza troppo professionismo e senza particolari specializzazioni. Mi rendo conto che quell’epoca è finita per sempre; ma sono anche lieto di scoprire che alcuni piloti si stanno buttando ultimamente in esperienze extra-curriculari.

Bryan Clauson aveva una ragazza che ancora oggi raccoglie fondi per le associazioni benefiche che lui seguiva; aveva un cane con un indirizzo Twitter; aveva una grande amicizia con Ricky Stenhouse Jr. e con Tony Stewart; aveva una livrea meravigliosa dai colori bianco-nero-verdi.

Avevo programmato di contattarlo di nuovo alla fine della sua avventura, alla fine della 200° gara dell’anno. Non ho potuto farlo. Ma da quel giorno ho promesso a me stesso di non trattare mai piloti e campionati come se fossero di serie a o di serie b. Ogni gara ha la sua storia, ogni vita ha il suo percorso.

E il percorso di Bryan mi piaceva davvero molto.

Non ho particolare interesse a mostrare il mio viso sopra quelle che saranno le mie elucubrazioni riguardo al motorsport. Preferisco lasciare un tributo continuo a questo ragazzo che, a differenza di molti altri piloti non interessati ad abbassarsi a un dialogo con un blogger like ‘chi-cazzo-lo-conosce’, mi aveva regalato una delle interviste di cui vado più orgoglioso.

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